migliori romanzi italiani del novecento

I migliori romanzi italiani del Novecento: capolavori da non perdere

Una letteratura, la nostra, gloriosa. Un susseguirsi di secoli mossi e sinuosi, larghi e vasti in cui nomi come quelli di Dante Alighieri, Francesco Petrarca, Ludovico Ariosto o Giambattista Marino, senza per questo dimenticarci del buon Metastasio, hanno invariabilmente dominato la scena letteraria europea, influenzato e spronato, con le loro opere più celebri, gli autori di tutto l’Occidente.

Il debito della cultura europea nei confronti del nostro Paese è immenso e in nessun modo può essere contestato, minimizzato o sottaciuto.

Tuttavia vi sono state anche, qui e là, sacche d’oscurità. Pantani melmosi in cui il genio italico sembra essersi come smarrito in un provincialismo senza nerbo. Claustrofobico. Malaticcio. Ripetuto ad nauseam.

La linfa della letteratura del Novecento

L’Ottocento ci appare allora, nonostante la presenza di alcuni inarrivabili giganti del calibro di Ugo Foscolo e Giacomo Leopardi, un periodo non propriamente felice e la sua letteratura, a tratti, claudicante.

Ciononostante il Novecento, forte di quella sua modernità giovane e spavalda, fulminea e spregiudicata, “giunge” alla partenza già rombando, palesando subito, senza falsi rossori, il desiderio di un rinnovamento. Di un moto che sia finalmente vivo e rigenerante. Una ribellione, la sua, destinata però a riuscire solo in parte. A farsi valere, ahimè, solo per metà.

Le sue reti ci mostrano una pesca diseguale o, se preferite, bizzarra, dove i pesci più piccoli per assurdo che possa sembrare (ma questo è uno strano Paese, lo sappiamo bene) nascondono malauguratamente quelli più grandi (o squisiti o rari).

I migliori romanzi italiani del Novecento

Dimentichiamoci allora per una volta del canone e dei mestieranti della critica e partiamo, invece, alla ricerca di quelle opere che meritano – almeno per noi – l’appellativo di grandi. Non diceva forse Rainer Maria Rilke: “Non sono un critico… io valuto l’opera d’arte dalla felicità che è in grado di donarmi”? Con questo pensiero bene in mente, con questa stella polare deliziosamente ferma nel nostro sguardo, apprestiamoci a leggere i migliori romanzi italiani del Novecento. Buona lettura a tutti.

Carlo Emilio Gadda, La cognizione del dolore

Pubblicato ancora incompiuto nel 1963, La cognizione del dolore non fu mai terminato da Gadda che vi lavorò sopra per tre anni, senza arrivare mai a una vera e propria conclusione. Un romanzo in ogni caso vasto, stratificato, mosso in cui l’autore scende nelle profondità dei suoi densi rapporti familiari, tra le pieghe di una società gretta e stupida, nella storia dell’Italia fascista, qui trasfigurata nelle vicende di un immaginario paese del Sud America. Un capolavoro (a sfondo autobiografico) che pone l’autore tra i maggiori scrittori italiani di tutto il Novecento.

Giuseppe Tomasi di Lampedusa, Il Gattopardo

Un’opera dapprima sdegnosamente rifiutata dalle maggiori case editrici italiane e poi, grazie al salvifico intervento di Elena Croce, pubblicata con fragoroso successo da Feltrinelli nel 1958.

Un grande affresco storico di una Sicilia chiamata a lasciarsi alle spalle il regno plurisecolare dei Borboni. Un quadro in forte chiaroscuro che diventa di fatto il ritratto di un Paese (il nostro) destinato a riflettersi ancora e ancora nelle parole del giovane Tancredi, uno dei suoi celebri protagonisti: “Se vogliamo che tutto rimanga com’è, bisogna che tutto cambi”. Nulla da allora sembra essere cambiato sotto il sole.

Carlo Coccioli, Fabrizio Lupo

Un gioiello dimenticato, lasciato cadere in un oblio polveroso da cui continua a emettere disperatamente lunghi bagliori. Scintillii abbaglianti che, a tratti, illuminano le spire oscure in cui è costretto a vivere o (il verbo ci sembra più calzante) morire. Una storia d’amore omosessuale, ambientata nel dopoguerra tra Firenze e Parigi, dove la penna di Carlo Coccioli rivela, insinuandosi tra le mille pieghe dell’anima del protagonista (Fabrizio Lupo), tutta la propria sottile, vibratile maestria.

Luigi Pirandello, Il fu Mattia Pascal

Una delle opere più conosciute di Pirandello in cui l’autore attraverso le vicende del protagonista dà corpo alla sua visione dell’esistenza umana, a quel suo eterno gioco di maschere, di verità in perenne fuga, di apparenze che mutano di specchio in specchio, lasciando dietro di sé solo un’ombra cupa. Una disperazione irrimediabilmente incatenata al cuore dell’uomo.

Guido Morselli, Dissipatio H.G.

Il capolavoro di Guido Morselli venne pubblicato quattro anni dopo il suicidio dello scrittore, avvenuto nel 1973. L’evaporazione del genere umano (questo è – grosso modo – il significato del titolo latino del libro) è un romanzo post-apocalittico dove l’alienazione del protagonista si tende e dispiega sinistra e inquietante come una tela di Munch o un racconto sospeso tra un abisso e l’altro.

Un mondo spettrale che, come un incubo, si incarna nella mente e nello sguardo di un uomo in cui vive e grida forte la morte.

Elsa Morante, L’isola di Arturo

Cresciuto nel mito di un padre spesso assente e tra le aspre bellezze dell’isola di Procida, Arturo affronta una realtà che via via lo sottrae alle sue fantastiche illusioni infantili, proiettandolo in un mondo dove la vita gli si mostra in tutta la propria balenante crudezza.

Un romanzo di formazione che, nel 1958, fece meritatamente vincere a Elsa Morante il Premio Strega.

Foto | tonodiaz via Depositphotos

Giorgio Podestà

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