Covid-19: un medico italiano in prima linea in Francia

Covid-19: l’esperienza di un medico italiano in prima linea in Francia

Riceviamo e volentieri pubblichiamo questa testimonianza sulla pandemia da Coronavirus che ci giunge dalla Francia.


Sono medico di Medicina Generale. Vivo in Francia da tre anni con mia moglie e i nostri tre figli. Seguo 2365 pazienti dal mio ambulatorio situato a Linas, un sobborgo alle porte di Parigi; in questa attività sono coadiuvato da una decina di infermieri e aiutanti a domicilio messi a disposizione dallo stato.

Sono medico di famiglia e come molti altri sono stato in prima linea durante la prima ondata COVID-19. Molte le defezioni fra i medici e gli infermieri, ma quelli che sono rimasti si sono battuti bene e abbiamo potuto seguire le persone in casa.

Il Covid-19 in Francia

Dopo questi giorni carichi di avvenimenti ed emozioni credo sia utile una riflessione intorno a cosa sia successo. Sono rimasto colpito dal metodo cartesiano con il quale qui in Francia sia stata fatta la scelta dei casi da accettare in rianimazione.

Faccio un esempio. Una famiglia di serbi costituita da tre persone: padre e madre di sessant’anni circa, entrambi diabetici e figlia di venticinque anni. Sono passati dal mio ambulatorio già in insufficienza respiratoria; li ho quindi indirizzati direttamente in ospedale. La figlia è stata trattenuta al pronto soccorso, i due parenti sono stati rimandati a casa per le cure del medico di base e dal personale che collabora. Gli infermieri avevano paura e spesso facevano allusioni sull’origine dei pazienti, ma li hanno curati bene, controvoglia forse, ma senza mai smettere lo sforzo d’umanità che contraddistingue i francesi, senza mai interrompere l’esercizio di democrazia che li abita.

Abbiamo ricevuto decine di pazienti con l’umiltà e il piglio di chi cerca in fondo al mare senza una mappa. All’inizio avevamo appena le mascherine e andavamo a naso: ossigeno, soluzione glucosata in sottocutanea alternata a fisiologica e doppio antibiotico. I pazienti non morivano, ma miglioravano assai lentamente. Poi l’illuminazione del professor Didier Raoult, eminente virologo dell’ospedale universitario di Marsiglia, riguardo alla somministrazione di Plaquenil e Azitromicina e da lì in poi ne siamo usciti.

Tre fasi del Covid-19

Gli antinfiammatori che sembravano proibiti in base a non so quale indicazione e di chi, ora invece sembrano essere utili nelle fasi iniziali dell’infezione. Le cose si chiariscono meglio per noi medici di base.

Ci sono tre fasi del COVID-19.

La prima riguarda l’infezione e la sintomatologia di febbre alta, anosmia ageusia e tosse, che va immediatamente trattata a domicilio con Azitromicina o Cefalosporine, in caso per esempio di allergia ai macrolidi.

Una seconda fase è caratterizzata dalla dispnea. I pazienti respirano male e sono molto affaticati: in questo caso si introduce la glucosata (tranne se diabetici) e la reidratazione per dare energia respiratoria (molto spesso i pazienti smettono di mangiare a causa dei sintomi dell’infezione) e ovviamente ossigeno, giorno e notte.

Vi è infine una terza fase nella quale il problema diventa vascolare, di coagulazione disseminata e si ricorre quindi all’aggiunta di Eparina, un anticoagulante a basso peso molecolare.

Se i medici di base sanno cosa fare gli ospedali sono meno sovraccarichi, soprattutto nelle prime due fasi della malattia da COVID-19.

L’età e lo stato di salute dei pazienti

Un’altra osservazione personale è che la grande maggioranza di pazienti erano anziani o già gravemente malati in precedenza oppure obesi. Molti diabetici che seguivano poco e male la terapia erano i più esposti.

La causa è da ricercare in un ambiente corporeo altamente infiammatorio all’origine, nel quale il virus può determinare una cascata di reazioni infiammatorie e citochiniche fino alla coagulazione disseminata.

Il tasso di mortalità in alcuni Paesi europei

Osservando i tassi di mortalità da COVID-19 nei vari paesi d’Europa scopro queste cifre (probabilmente in evoluzione): Germania 1,8 %; Francia 7,6 %, Spagna e Gran Bretagna 10 %, Italia 12 %.

Perché queste enormi differenze? Ho lavorato in Italia come medico di base e ho delle ipotesi da fare.

In Italia i pazienti cronici sono seguiti peggio dai medici di base di quanto non si faccia altrove in Europa e non seguono le terapie adeguatamente perché non ci sono controlli quotidiani sulla somministrazione da parte degli infermieri a domicilio. Qui in Francia tutto questo è sovvenzionato dalla spesa pubblica.

Come medico di base ho il supporto di numerosi infermieri che passano una o due volte al giorno nelle case dei pazienti cronici per controllare i parametri vitali e somministrare la terapia o fare analisi del sangue. In Italia questa procedura non esiste.

In Germania, oltre a una grande attenzione alle cure a domicilio esiste una cultura radicata alla buona alimentazione, al controllo del peso e alla pratica regolare dello sport, a tutte le età.

E i medici italiani?

Infine, c’è una considerazione forse meno comoda da accettare ma che è visibile, che lo si voglia o no. I medici di base italiani sono stati poco pronti e per nulla coraggiosi. Ci sono state assenze colpevoli, a tappeto, rifiuti di fare visite a domicilio, millantate infezioni da COVID-19 pur di non stare in prima linea. Il risultato di tutto ciò non può essere altro che un intasamento degli ospedali.

La mancanza di trattamento a domicilio durante le prime fasi dell’infezione può essere una causa dell’elevata mortalità riscontrata nel nostro paese.

Quando ho iniziato a usare il Plaquenil qui in Francia, durante la prima settimana di aprile, la Clorochina era stata dichiarata fuorilegge ed era sparita dalle farmacie.

Lo abbiamo requisito dalle farmacie che si sono offerte di darlo sotto banco e non ci sentivamo fuori legge: abbiamo avuto una valanga di messaggi telefonici, mail e dai social di sostegno da parte della popolazione. Sentivamo di poter andare avanti, sentivamo la protezione e l’intelligenza collettiva.

Io questa intelligenza collettiva, in Italia, non la sento oramai da troppo tempo e me ne dispiaccio profondamente, intimamente. Preferisco però guardare in faccia la realtà invece di nascondermi: in questo momento, cifre alla mano, l’Italia è il meno sviluppato e moderno fra i paesi della comunità europea.

Antonio Scardino, MD & PhD
dr.antonio.scardino@gmail.com

Foto | Pixabay

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