A Silvia è una lirica di Giacomo Leopardi, pubblicata nell’edizione dei Canti del 1831. Composta a Pisa nell’aprile del 1828, segna il ritorno del Leopardi alla poesia, dopo il lungo silenzio che seguì alla composizione delle Operette morali. Il ricordo di Teresa Fattorini, figlia del cocchiere dei Leopardi, morta di tisi nel 1818, vi è forse presente: ma la vaga figura della giovinetta si trasfigura in simbolo della diffusione degli affetti giovanili e della morte delle speranze.
A Silvia è una canzone libera (o leopardiana) ed è composta da sei strofe di varia lunghezza; i versi privi di rima sono ventisette mentre gli altri seguono liberamente la rima. L’ultimo verso di ogni strofa è sempre un settenario e rima con uno dei precedenti della stessa strofa.
A Silvia: il testo
Silvia, rimembri ancora
quel tempo della tua vita mortale,
quando beltà splendea
negli occhi tuoi ridenti e fuggitivi,
e tu, lieta e pensosa, il limitare
di gioventù salivi?Sonavan le quiete
stanze, e le vie d’intorno,
al tuo perpetuo canto,
allor che all’opre femminili intenta
sedevi, assai contenta
di quel vago avvenir che in mente avevi.
Era il maggio odoroso: e tu solevi
così menare il giorno.Io gli studi leggiadri
talor lasciando e le sudate carte,
ove il tempo mio primo
e di me si spendea la miglior parte,
d’in su i veroni del paterno ostello
porgea gli orecchi al suon della tua voce,
ed alla man veloce
che percorrea la faticosa tela.
Mirava il ciel sereno,
le vie dorate e gli orti,
e quinci il mar da lungi, e quindi il monte.
Lingua mortal non dice
quel ch’io sentiva in seno.Che pensieri soavi,
che speranze, che cori, o Silvia mia!
Quale allor ci apparia
la vita umana e il fato!
Quando sovviemmi di cotanta speme,
un affetto mi preme
acerbo e sconsolato,
e tornami a doler di mia sventura.
O natura, o natura,
perché non rendi poi
quel che prometti allor? perché di tanto
inganni i figli tuoi?Tu pria che l’erbe inaridisse il verno,
da chiuso morbo combattuta e vinta,
perivi, o tenerella. E non vedevi
il fior degli anni tuoi;
non ti molceva il core
la dolce lode or delle negre chiome,
or degli sguardi innamorati e schivi;
né teco le compagne ai dì festivi
ragionavan d’amore.Anche perìa fra poco
la speranza mia dolce: agli anni miei
anche negaro i fati
la giovinezza. Ahi come,
come passata sei,
cara compagna dell’età mia nova,
mia lacrimata speme!
Questo è il mondo? questi
i diletti, l’amor, l’opre, gli eventi,
onde cotanto ragionammo insieme?
questa la sorte delle umane genti?
All’apparir del vero
tu, misera, cadesti: e con la mano
la fredda morte ed una tomba ignuda
mostravi di lontano.
Le figure retoriche della poesia A Silvia
Nella poesia A Silvia ci sono diverse figure retoriche:
- assonanza: “quinci… lungi” ;
- climax: “Che pensieri soavi/ che speranze, che cori,…”
- anafora: “Anche…/…anche”
- allitterazione: ad esempio nelle lettere “r”, “t”, “v”, “sp” nella prima strofa.
- enjambement: nei versi 7 e 8 per mettere in evidenza la parola “quiete”; nell’ultima strofa per sottolineare le parole chiave.
- metonimia: sudate carte; lingua mortal; sguardi innamorati e schivi
- ossimoro: lieta e pensosa
- personificazione: o natura o natura… perché non rendi poi quel che prometti allor?; la speranza nell’ultima strofa
- zeugma: porgea gli orecchi al suon della tua voce / ed alla man veloce
Foto | Google Maps
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