Una lunga e articolata riflessione sulle copertine dei libri. Jhumpa Lahiri, Premio Pulitzer per la narrativa, ha pubblicato per Guanda un libretto in cui affronta il tema delle copertine dei libri: Il vestito dei libri.
Il testo, come leggiamo nella postfazione, nasce per una lectio magistralis da tenere al Festival degli Scrittori del 2015, e poi è stato rivisto per la pubblicazione. Anzi, ritradotto: perché Jhumpa Lahiri l’ha scritto in italiano, poi è stato pubblicato in inglese e lei l’ha tradotto dall’inglese all’italiano per Guanda.
Il vestito dei libri
Il vestito dei libri parla, quindi, delle copertine dei libri e lo fa partendo dai vestiti.
L’autrice racconta del fascino che provava da bambina per le divise scolastiche, che le davano il senso di appartenenza. Ma poi anche la propensione per abiti diversi da quelli che volevano i suoi genitori, per sentirsi più se stessa. Insomma, l’eterno dilemma tra identità e singolarità. I vestiti diventano una metafora per la copertina dei libri. Ci sono vestiti che vanno bene, così come alcune copertine risultano perfette per il libro che ricoprono. Alcuni vestiti, però, non calzano a pennello e anche alcune copertine possono correre questo rischio.
Di fatto, come nota Jhumpa Lahiri, le copertine non servono più per assolvere il mero compito di tenere insieme le pagine del libro, ma diventano un messaggio a sé stante. E oggi lo vediamo, soprattutto con alcune case editrici: in copertina c’è di tutto. Il nome dell’autore e il titolo, naturalmente. Poi l’immagine, che è già un’interpretazione. E poi sovente i testi in quarta di copertina, le bandelle, le opinioni di questo o quel critico. E, ciliegina sulla torta, le fascette. Scrive Jhumpa Lahiri:
Alla scoperta della filosofia delle copertine
L’autrice affronta la filosofia delle copertine qui in Italia e negli Stati Uniti d’America e ammette di amare molto le collane, il cui concetto è diverso tra qui e là. Le piacciono le collane italiane, perché hanno una certa uniformità (torna il tema della “divisa”) pur restando ogni titolo singolo, a sé stante. Presenta alcuni esempi di collane che le piacciono (e fa un po’ sorridere la sua lode alle copertine di Adelphi – belle, senza dubbio – senza mai citare Guanda, il suo editore, anche se poi si salva in extremis descrivendo la copertina del libro In altre parole).
A Jhumpa Lahiri piace l’idea del libro nudo, cioè di un testo in cui la copertina sia ridotta all’osso: autore e titolo.
Pur riconoscendo che oggi le copertine hanno grande importanza nella vendita del libro (forse troppa), anche io concordo con lei. E concordo anche con Paul Collins che ne Al paese dei libri (pubblicato in Italia da Adelphi, tra l’altro!) scrive:
Se una copertina ha il titolo in rilievo, metallizzato, o entrambe le cose, allora è come se dicesse al lettore: Salve, sono un romanzo rosa, o un noir, o l’autobiografia di un’attrice. Ai lettori che non amano quei generi, il titolo dice: Salve, sono robaccia. Per questi libri la copertina patinata è un obbligo, mentre ai Libri Seri si può concedere una carta opaca.
In conclusione, cosa aspettarsi da Il vestito dei libri di Jhumpa Lahiri
Il vestito dei libri è un punto di vista interessante sulle copertine da parte di una scrittrice.
Qualche immagine sarebbe stata utile, visto che nel testo si fa spesso riferimento a edizioni particolari.
Il libro
Jhumpa Lahiri
Il vestito dei libri
Guanda, 2017
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