Il dibattito è tanto vecchio quanto attuale e affascinante: l’uso di sostanze o droghe eccitanti e stimolanti può potenziare le capacità degli scrittori e delle scrittrici, favorendo la loro prosa o la loro poesia? E quali sono i libri scritti sotto effetto di droghe che hanno lasciato il segno nella letteratura?
20 libri scritti sotto l’effetto di droghe eccitanti e stimolanti: la lista
Ecco un elenco, una sorta di classifica se volete, di 20 opere importanti scritte sotto l’effetto di droghe eccitanti e stimolanti. Va da sé che si tratta di un testo parziale e diversi titoli restano fuori: magari, se volete, segnalateceli nei commenti.
- benzedrina: Jack Kerouac, Sulla strada (1957) – Wystan Hugh Auden, 1 settembre 1939 (1958)
- caffè e corydrane (anfetamine con l’aspirina): Jean-Paul Sartre, Critica della ragione dialettica (1960)
- caffè: Honoré de Balzac, La commedia umana (1829-1848)
- cocaina: Robert Louis Stevenson, Lo strano caso del dottor Jekyll e del signor Hyde (1886)
- eroina: William Seward Burroughs, La scimmia sulla schiena (1953) – Jim Carroll, Jim entra nel campo di basket (1978)
- gimlet e vitamine: Raymond Chandler, La dalia azzurra (1946)
- gin: Edna St Vincent Millay, articoli su Vanity Fair (1921)
- hashish: Charles Baudelaire, I paradisi artificiali (1860)
- laudano: Samuel Taylor Coleridge, Kubla Kahn (1797) – Elizabeth Barrett Browning, Aurora Leigh (1856)
- LSD: Timothy Leary, High Priest (1968) – Hunter Stockton Thompson, Paura e disgusto a Las Vegas (1971)
- martini (doppio): Truman Capote, A sangue freddo (1965)
- mescalina: Aldous Huxley, Le porte della percezione (1954)
- peyote: Carlos Castaneda, Viaggio a Ixtlan (1972)
- peyote e LSD: Ken Kesey, Qualcuno volò sul nido del cuculo (1962)
- tè caldo e sherry: Carson McCullers, Il cuore è un cacciatore solitario (1940)
- whisky: William Cuthbert Faulkner, Road to glory (1936)
Alcuni celebri scrittori che hanno fatto ricorso a stimolanti
Certo non è sufficiente ricorrere a una qualche sostanza per stimolare la fantasia: come recita un detto dell’università di Salamanca, in Spagna: “Quod natura non dat Salmantica non praestat”. Insomma, se non c’è una base da stimolare, ci si può pure intossicare ma non si ottiene nulla.
Però è vero che a volte gli scrittori facciano ricorso a qualche sostanza per stimolare la propria prosa e tenere desta la creatività. È una cosa logica: il cervello non sempre funziona al massimo e chi scrive, che dell’ispirazione vive, deve far sì che il proprio cervello lavori sempre al top. Ci sono scrittori che sono stimolati dalla musica – in genere o da un tipo particolare –, altri che fumano, altri che hanno compagno di scrittura il caffè.
Charles Bukowski alzava il gomito che era una bellezza (sua la frase: “Quando sei felice bevi per festeggiare. Quando sei triste bevi per dimenticare, quando non hai nulla per essere triste o essere felice, bevi per fare accadere qualcosa”).
William Cuthbert Faulkner (premio Nobel per la letteratura 1949) amava il whisky; Raymond Chandler (1888-1959) preferiva il cocktail gimlet (a base di gin e liquore di lime). Truman Capote era un fan del Martini.
Non dimentichiamo Stephen King che, per sua stessa ammissione, non ricorda nulla della stesura di Cujo a causa della quantità di birra e droghe che aveva in circolo.
Stati alterati di coscienza
Ci sono, poi, autori che sono andati molto più lontano, alterando la propria coscienza tanto da giungere fino a una sorta di contaminazione tra lo stato alterato in cui vivevano e quello reale in cui scrivevano.
Baudelaire assumeva hashish per scrivere I paradisi artificiali. William Seward Borrough fece ricorso all’eroina per La scimmia sulla schiena, così come la utilizzava Jim Carroll per Jim entra nel campo di basket (1978). E che dire di William Shakespeare che sembra facesse uso di marijuana e noce moscata?
Infine abbiamo autori che, quasi psiconauti della scrittura, viaggiarono in altre dimensioni per poi raccontare al mondo quanto hanno visto. Tra questi annoveriamo Jean-Paul Sarte che nel 1935 provò la mescalina che poi ebbe un grande riflesso su La nausea; Ken Kesey che fece ricorso al peyote per scrivere Qualcuno volò sul nido del cuculo; Robert Louis Stevenson che scrisse – in soli sei giorni – Lo strano caso del dottor Jekyll e del signor Hyde sotto l’influenza della cocaina.
Foto | Matt Davis