Letizia Vicidomini, autrice salernitana di grande talento, è una donna dallo sguardo aperto, accogliente ma anche molto curioso. Ciò che la circonda è palesemente fonte di ispirazione perché proprio in quello sguardo si nota che niente le sfugge. Insomma, è una scrittrice “vera”, pronta a cogliere dettagli trasformabili in storie.
Intervista a Letizia Vicidomini
Uno scrittore è un esploratore, sempre alla ricerca di nuovi stimoli, realtà e possibilità nascoste ovunque. Letizia Vicidomini, quando hai scoperto il piacere di scrivere o l’attrazione per la scrittura?
Nasco come lettrice, appassionata delle parole e delle storie sin da bambina. Ho letto d’istinto, da onnivora, ogni genere di scritto, con predilezione assoluta per la letteratura sudamericana, i classici di Pirandello, Eduardo De Filippo e i gialli di Agatha Christie. A un certo punto ho cominciato a pensare che mi sarebbe piaciuto suscitare negli altri le stesse emozioni che quegli autori provocavano in me. Ero poco più che adolescente, e ho buttato giù qualcosa. Sono dovuta però arrivare sotto i trent’anni per cominciare a sperimentare sul serio, presa dalle esigenze della vita, diventando madre molto presto. Quel seme tuttavia si è radicato sempre più profondamente, fino a quando è arrivata una storia interessante da raccontare, e l’ho fatto. Era il 2006, e da allora non mi sono più fermata.
Nel 2021, Il segreto di Lazzaro (Homo Scrivens) vince il Premio Letterario Giallo Garda. La costruzione è avvincente, composta di flashback, introspezioni dilanianti, un segreto che viene dal passato e un passato che si fa presente perché talmente ingombrante da impedire il futuro. In un romanzo così profondo e misterioso, ricorri anche alla gastronomia italiana e argentina aggiungendo un tocco originale all’insieme. E poi ci avvolgi con la malia del tango. C’è una ragione particolare che ti ha spinta a indagare l’Argentina scegliendola come parte dell’ambientazione di questo libro?
In realtà la prima suggestione per Lazzaro è stata la Puglia, dove ero andata per una breve vacanza. Quando la storia ha cominciato a prendere forma ho avuto la necessità di rendere emigrante il mio uomo, e traghettarlo in Argentina è stato immediato.
Prima di tutto perché alla fine degli anni Settanta era una delle mete più frequenti degli italiani in cerca di un futuro migliore. Poi per la mia passione proprio per il tango. Ho seguito per un po’ un corso, attratta dal talento di una cara amica, scoprendo un mondo affascinante e complesso. L’ho studiato, analizzato e quindi descritto nelle mie pagine, anche se non l’ho più praticato. Occorre tempo e dedizione per frequentare una milonga, e nel frattempo sono nati altri impegni, ma il tango rimane nel mio cuore. Infine avevo voglia di tenere vivo il ricordo delle innumerevoli vittime dei “voli della morte”, quei figli e nipoti scomparsi che rimangono ferite aperte nella carne del mondo intero.
Nel tuo recente La ragazzina ragno (Mursia) troviamo tutti gli elementi del giallo psicologico. C’è il reato, l’indagine, si sospetta di tutti ma non si arriva a capo di niente fino a che tu non decidi che è arrivato il momento per sciogliere i nodi. In tutto questo, dai grande spazio alle dinamiche familiari, alla vulnerabilità dei ragazzi e alla superficialità degli adulti. Scavi nel cuore dei tuoi protagonisti così come è nel tuo stile, mostrandone debolezze, lati meno nobili e sogni. Ti faccio una domanda alla Marzullo: lo scrivere ti ha portato verso la scoperta dell’animo umano, o la scoperta dell’animo umano ti ha condotta verso la scrittura?
Di base posso dire di essere stata sempre molto attenta alle dinamiche e ai moti del mondo interiore dell’essere umano, aiutata proprio dalle letture di autori che citavo prima. A mio avviso Luigi Pirandello e Eduardo De Filippo hanno saputo descrivere magistralmente certi meccanismi, alimentando la mia naturale curiosità verso l’altro. Trasferire questa sensibilità nella scrittura è stato automatico: non avrei mai potuto raccontare i personaggi e le loro vicende senza comprenderne le motivazioni profonde. Anche il teatro, altra mia passione amatoriale, mi ha aiutato molto a decifrare interiorità diverse dalla mia, per poter interpretare efficacemente i ruoli che si sono stati assegnati. Per rispondere sinteticamente direi che sia stata la scoperta dell’animo umano a condurmi alla scrittura, diventata quasi un’esigenza per comprendere meglio il mondo che mi circonda.
Conduttrice radiofonica, scrittrice apprezzata e affermata, vincitrice di numerosi premi, attrice di teatro, nell’ultima pubblicazione (la seconda con Mursia) Dammi la vita ti inoltri nella bellezza della musica. In particolare nella inquietante essenza di una direttrice d’orchestra. Qual è il personaggio da te creato che più hai amato e perché?
Credo in assoluto il personaggio più amato sia Lazzaro. È un uomo che riassume in sé la forza e la fragilità che caratterizzano anche Andrea Martino, il mio commissario in pensione arrivato più tardi, unite a una passionalità che ai miei occhi lo rende irresistibile. Ne immagino il volto segnato dal sole e dalla vita, l’abilità nel catturare attraverso l’obiettivo della macchina fotografica il mondo che commuove, il corpo in equilibrio con quello della sua donna mentre ballano. E poi adoro lo sguardo puntato verso le nuvole, in eterno movimento. E sì, “el nubero” ha molte estimatrici, me per prima.
Qual è il libro che in Letizia Vicidomini donna ha lasciato traccia indelebile a livello emotivo? E quello che ha insegnato molto a te scrittrice?
Nel mio cuore c’è il dolore di madre lasciato dalla morte di Maya Musella, la ragazzina ragno. Nonostante le sue colpe è una vita troppo giovane per essere spezzata senza possibilità di redenzione. Nero. Diario di una ballerina, invece, mi ha aperto le porte del noir, insegnandomi a scendere nelle profondità dell’animo umano e descriverne le azioni peggiori, ma anche le migliori.
Grazie per aver accettato di raccontarci di te. E in bocca al lupo per Dammi la vita, che ha già tracciato segni interessanti e note melodiose sebbene abbia appena visto la luce!
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