Si può dire Whatsappare?
Si può dire Whatsappare?

Si può dire Whatsappare?

Whatsappare significa inviare messaggi tramite WhatsApp, celebre app per smartphone che permette di scambiarsi messaggi testuali, vocali, video e fotografici in tempo reale in maniera pressoché gratuita. Ma è corretto usare questo verbo nella lingua italiana? Si tratta di un adattamento del nome commerciale dell’applicazione che, a sua volta, è già un incrocio tra l’espressione inglese what’s up? (tipica del parlato e che si può tradurre con “Come va?”, “Che si dice?”) e app come abbreviazione di application.

La prima attestazione del verbo Whatsappare in un dizionario risale al 2012 e compare sul dizionario online Urban Dictionary:

Sending a message through whatsapp. Can be used to refer a message that was sent earlier through whatsapp.
I whatsapped you yesterday. Did you check that?

Il Vocabolario della Treccani lo riporta con la seguente spiegazione:

Scambiare messaggi e allegati (immagini, video, audio multimediali) con i propri contatti tramite l’applicazione informatica di messaggistica istantanea multipiattaforma WhatsApp Messenger®.

Come sottolinea l’Accademia della Crusca, Whatsappare – che può anche essere scritto whazzappare, uozzappare, uotsappare, uazzappare (chiari segnali di un adattamento alla lingua italiana) – è senza dubbio più sintetico di “mandare un messaggio su WhatsApp” o “scrivimi su WhatsApp” e simili.

L’uso di Whatsappare nei media italiani

I giornali italiani usano il verbo Whatsappare in vari contesti:

  • “Stando sempre con gli smartphone in mano a whatsappare” – Il Mattino (23/03/2014)
  • “C’è chi continua tranquillamente a whatsappare, chi si volta dall’altra parte” – TGcom 24 (12/11/2014)
  • Sì, perché per dei nativi digitali, abituati a twittare, chattare, whatsappare o postare, non è affatto naturale ricorrere a un foglio di carta” – Corriere della Sera (10/03/2015)

Segnaliamo anche l’articolo Esisti se appari? Le ripercussioni dell’iperconnessione sulle relazioni della dottoressa Moira Melis che nell’ottobre 2013 scriveva:

Ogni evento, pensiero, stato emotivo, esperienza, luogo visitato viene postato, condiviso, commentato, apprezzato o ignorato, whatsappato, twittato e l’istantaneità degli scambi comunicativi, unitamente al desiderio di onniscienza, inducono ad una iper connessione alla rete con un conseguente incremento di isolamento dal reale intorno sociale.

Foto | Pixabay

Roberto Russo

Roberto Russo

Roberto Russo è nato a Roma e vive a Perugia. Dottore in letteratura cristiana antica greca e latina, è appassionato del profeta Elia. Segue due motti: «Nulla che sia umano mi è estraneo» (Terenzio) e «Ogni volta che sono stato tra gli uomini sono tornato meno uomo» (Tommaso da Kempis). In questa tensione si dilania la sua vita. Tra le altre cose, collabora con alcune testate online, è editore della Graphe.it, e tanto tempo fa ha pubblicato un racconto con Mondadori.

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