Letteratura gotica

I classici della letteratura gotica, tra indiscusse regine e maestri della penna

Tutto ebbe il suo lontano, tenebroso inizio nel Castello di Otranto di Horace Walpole. Romanzo che vide la luce nel 1764 e che, in breve tempo, divenne la pietra angolare della cosiddetta letteratura gotica. Il capostipite, potremmo alternativamente chiamarlo anche così, di un genere letterario nato in Inghilterra, ma destinato a mettere fonde e ramificate radici nel cuore del lettore di ogni latitudine.

Molte furono le scrittrici che vi si distinsero, rivelando una spiccata abilità nell’evocare atmosfere cupe, paesaggi in bilico tra l’estasi e l’orrore e personaggi abilmente contrapposti, pronti a gettare sulla pagina uno chiaroscuro estremamente drammatico. Un intreccio ogni volta al cardiopalma.

Le celebri scrittrici di classici della letteratura gotica

Ma quali furono nello specifico queste insuperabili regine del gotico? Di fronte a noi, non vi è dubbio, talenti che seppero con puntualità stregare e suggestionare intere generazioni di uomini e donne, regalando loro non solo storie e vicende avvolte nel mistero più fitto, ma capaci di scoperchiare (e questo è forse il loro vero unico segreto) paure ataviche. Terrori in noi appena dormienti.

Clare Reeve (1729-1807)

Non si può citare Clara Reeve senza chiamare alla ribalta il suo romanzo più famoso: Il vecchio barone inglese. Il libro pubblicato nel 1777 ruota attorno a un castello sottratto ai suoi legittimi proprietari. Una lotta tra il bene e il male che la scrittrice britannica ha saputo raccontare magistralmente. Il suo talento, lo ricordiamo en passant, ispirerà un’altra celebre autrice del periodo: Mary Shelley.

Ann Radcliffe (1764-1823)

Una delle grandi, indiscusse regine del gotico. Ann Radcliffe ha dato vita a romanzi che hanno sedotto e affascinato i lettori di ieri e di oggi. Ha evocato atmosfere cupe e lontane che inchiodano prontamente alla pagina anche l’occhio più ondivago e distratto. Tra i suoi titoli più amati, I misteri di Udolpho, Romanzo siciliano e Le visioni del castello dei Pirenei. L’elemento esotico era, a quanto pare, assolutamente essenziale.

Mary Shelley (1797-1851)

A soli 19 anni la Shelley scrisse la sua opera più celebre e riuscita: Frankenstein, o il moderno Prometeo. L’idea del romanzo in verità le venne suggerita da una discussione sulla letteratura tedesca avuta a Ginevra con il marito Percy Shelley, la sorellastra Claire Clairmont e Lord Byron. Un confronto indubbiamente proficuo che ha dato il la a un personaggio entrato nell’immaginario collettivo.

Charlotte Brontë (1816-1865)

Jane Eyre mescola tratti inconfondibilmente gotici con elementi del tutto realistici. Il risultato? Un classico della letteratura inglese che non solo continua a essere avidamente letto, ma può anche vantare un numero “esagerato” di trasposizioni sia sul piccolo che grande schermo.

Daphne du Maurier (1907-1989)

Il gotico non è solo Settecento o Ottocento come ci mostra ampiamente il talento di Daphne du Maurier. Fu scrittrice amatissima da Alfred Hitchcock che da due sue opere, Rebecca, la prima moglie e Uccelli, trasse ispirazione per due dei suoi film più amati e conosciuti.

Gli autori senza tempo della letteratura gotica

Per par condicio non possiamo però accomiatarci da voi senza parlare di due figure chiave del genere. La prima (di cui abbiamo già accennato a inizio articolo) è quella di Horace Walpole; la seconda quella di Matthew Gregory Lewis autore de Il monaco.

Horace Walpole (1717-1797)

Considerato il capostipite del romanzo gotico, Horace Walpole fu una figura singolare e affascinantissima della cultura d’oltremanica.

Il suo celebre epistolario, che vide la luce mentre il giovane scrittore era in viaggio in Francia e in Italia in compagnia dell’amico del cuore Thomas Gray (il Grand tour era allora di rigore per i rampolli di buona famiglia), è un esempio impareggiabile di quel suo talento irresistibilmente mosso, dalle sfumature squisite ma imprevedibili, dove politica, mondanità, letteratura si fondono in un paesaggio che, ancora oggi a distanza di quasi tre secoli, seduce anche il lettore più distratto e facile alla noia.

Figlio dell’aristocrazia britannica (il padre fu più volte ministro, prima sotto re Giorgio I, poi sotto il figlio Giorgio II), Horace Walpole legò indissolubilmente il suo nome alla villa di Strawberry Hill sulle rive del Tamigi che divenne una delle dimore più note e celebri di tutta l’Inghilterra. Simbolo di quel neo-gotico che, come un’ondata misteriosa e irresistibile, travolse in quegli anni la Gran Bretagna. Un impegno che assorbì Walpole per quasi quarant’anni. Un lavoro costante che trasformò la villa in una sorta di castello dove un caminetto venne addirittura plasmato sulla tomba dell’Arcivescovo di Canterbury, mentre il paravento (l’ingegno e la fantasia dello scrittore non conoscevano a quanto pare davvero limiti) nacque su disegno nientemeno che del celebre coro di Rouen.

Matthew Gregory Lewis (1775- 1818)

Non vi è dubbio che Il monaco di Matthew Gregory Lewis, uno dei primi romanzi della letteratura gotica, abbia il diritto di fregiarsi con quel tocco di ineffabile spudoratezza ancora così tipicamente settecentesche (siamo dopotutto sul finire del Secolo dei lumi) del titolo di succès de scandale.

Le vicende del pio Ambrosio che, nel volgersi rapido di soli e lune, rivela inaspettatamente tutta la sua natura violenta e predace (dallo stupro al patto con il diavolo in persona, dall’omicidio all’incesto) fece gran scalpore. Così tanto rumore e sdegno che lo scrittore Matthew Gregory Lewis dovette prontamente rimettere mano al suo romanzo, tagliando e ricucendo, ammorbidendo e smussando là dove ahimè il dente dell’opinione pubblica doleva e contava (ciliegina sulla torta, fu da più parti anche accusato di plagio).

Nato in una famiglia abbiente e indirizzato dal padre alla carriera diplomatica, Matthew Gregory Lewis viaggiò a lungo. Imparò lingue, affinò le armi per il grande palcoscenico della politica internazionale. Tanti sforzi furono, infatti, ripagati con un importante incarico presso l’ambasciata britannica dell’Aia.

Tuttavia la morte del padre lo trasformò in un uomo immensamente ricco, finalmente in grado di dedicarsi alla letteratura, al teatro, ai viaggi transatlantici. Fu proprio durante una di queste perigliose traversate che dalla Giamaica lo riportava a casa che Lewis colpito dalla febbre gialla morì a soli quarantadue anni. Il suo corpo, come tradizione voleva quando si era troppo lontani dalla terraferma, venne gettato nelle acque del mare. L’Oceano atlantico divenne, così, con un coup de théâtre irresistibilmente gotico, la sua ultima, romantica dimora.

Foto | Reinhold Silbermann via Pixabay

Giorgio Podestà

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