Cristina Campo

Cristina Campo o della parola perfetta che non conosce incrinature

La malattia al cuore la isolò fin da piccola, creando in lei lo spazio miracoloso della poesia, della parola perfetta che non conosce incrinature e si imbeve di luce anche nel pozzo nero della solitudine. Ci è facile immaginare Cristina Campo bambina, prima nel grande parco dell’Ospedale Rizzoli (la madre era la sorella di Vittorio Putti, illustre chirurgo ortopedico), poi a Parma per una breve stagione e infine nell’amatissima Firenze, dove il padre, musicista, era stato chiamato a dirigere il Conservatorio Cherubini.

Chi è stata Cristina Campo

Un amore a prima vista quello che una Cristina Campo ancora bambina aveva provato per la città del giglio. Qui la poetessa, trasformatasi in pochi anni in una bellissima ed elegante adolescente, intessé le prime frequentazioni letterarie, si legò al giovane Leone Traverso, scrisse lettere agli amici più cari; parole che portavano invariabilmente il sigillo raro e squisito del talento poetico. Dell’anima che, sola, scende, rabbrividendo ora al tocco della neve, ora a quello caldo del sole, verso dimensioni lontane.

Arrivò poi Roma, lo strazio dell’addio a Firenze e una serie di nuove e fruttuose amicizie. Di quegli anni a cavallo di due decenni, in bilico tra due città così vitali, sono non solo le sue traduzioni di Virginia Woolf, Katherine Mansfield e John Donne ma anche Passo d’addio, il suo primo libro di poesie.

Un talento vasto quello di Cristina Campo, nutrito di letture importanti, di un amore fondo per Simone Weil e Hugo von Hofmannsthal, che la portava a passare dalla poesia alla saggistica alla traduzione con la grazia di un minuetto. Di un pittore dal tocco sempre perfetto, a cui non sfugge mai la sbavatura. La pennellata disattenta.

In campo religioso si oppose strenuamente ai cambiamenti, alle riforme liturgiche, ancorandosi alla tradizione, a canoni radicati nei secoli, al rito bizantino. Sempre più culturalmente isolata e immersa in una religiosità rarefatta e preziosa, la Campo si spense a Roma il 10 gennaio 1977, soccombendo a quella malattia che le era stata “fedele” compagna di vita.

Una sua poesia

Senza dubbio le foglie che cadono sono uno dei simboli dell’autunno e della vita che passa. Nel cadere le foglie disegnano quasi un percorso segreto e poi, a terra, creano immagini spesso mozzafiato, con l’alternanza di colori e i cumuli ai piedi degli alberi.

Nella poesia Canzoncina interrotta, Cristina Campo immagina che queste foglie, cadute in maniera furtiva mentre nessuno le vedeva, siano una sorta di presagio di quanto avviene nella natura e nelle nostre vite.

Canzoncina interrotta

Laggiù di primo ottobre
la marea delle foglie
all’angelica notte
già tratteneva il piede.

Non vedute cadevano
(là tutto era furtivo),
lento frusciava rune
al plenilunio un fico.

Sfilava dal tuo sogno
un micio le sue cabale,
veranda incomparabile,
dolce Capodimondo.

Solo la veemente
mia ora lacerava
sul cancello le rose …
E riversa una statua

forse mordeva – al turbine
di quel volo – l’autunno,
origliere di muschio…

Foto | WikiCommons

Giorgio Podestà

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