Diceva che la fantasia deve essere quanto più possibile vicina al giornalismo, Dino Buzzati, ma certamente non nel resoconto di fatti e misfatti (si occupò per lungo tempo di cronaca nera), piuttosto per lo stile del racconto, che doveva essere impeccabile anche nel riferire le cose di ogni giorno. E per l’avvicinamento di queste due forme di scrittura, Buzzati si spese non poco, pubblicando dal 1933 e fino alla fine della sua carriera, elzeviri di vari argomenti, ma sempre arguti, brillanti e dall’alto valore letterario.
La poliedrica personalità di Dino Buzzati
Ovviamente non si fermò qui. Personalità poliedrica dalle mille vocazioni artistiche – fu giornalista, scrittore, ma anche critico d’arte ed egli stesso artista, tanto che un giorno arrivò a dichiarare: “Sono un pittore il quale, per hobby, durante un periodo purtroppo alquanto prolungato, ha fatto anche lo scrittore e il giornalista” – oggi, in questa sede, lo vogliamo ricordare soprattutto per la sua attività letteraria di fine prosatore e grande innovatore del romanzo italiano.
Fu anche un illustre precursore del genere fantastico, che all’epoca non godeva di grande riconoscimento, né tantomeno stima all’interno dei circoli letterari. Lontani da venire, ancora, erano, negli anni Trenta del secolo scorso, i fasti della letteratura fantascientifica; lui, però, ebbe la grande intuizione: unire al tema della natura a lui carissimo perché legato alle native montagne bellunesi, al ricordo dell’infanzia, a una tradizione cui restava orgogliosamente attaccato, l’elemento fantastico, il dettaglio che spiazza, che esce dalla realtà in fondo per meglio esplicitarla in tutta la sua ineluttabilità. Il destino, poi, a volte beffardo, a volte semplicemente imperscrutabile, è il vero protagonista delle sue opere, capace di piegare ai suoi voleri anche l’amore e di privare l’uomo della “grande occasione”, quel minuto di celebrità – lo definiremmo noi oggi – cui ogni essere umano aspira, almeno una volta, nella vita.
L’ora miracolosa che almeno una volta tocca a ciascuno. Per questa eventualità vaga, che pareva farsi sempre più incerta col tempo, uomini fatti consumavano lassù la migliore parte della vita.
I romanzi di Dino Buzzati
Bàrnabo scende dalle montagne
L’immensità delle montagne, le loro atmosfere ovattate, il silenzio, sono già presenti nella prima fatica di Dino Buzzati, Bàrnabo delle montagne, datato 1933. È la storia complicata di Bàrnabo, un guardiaboschi incaricato di controllare le armi e le munizioni conservate in un deposito conosciuto come “La Polveriera”. Un giorno questa verrà attaccata dai briganti e Bàrnabo, che non era presente, viene licenziato. Si rifugerà per qualche tempo da un cugino e farà il contadino. Ma il richiamo della montagna è per lui troppo forte; come pure la voglia di riscattarsi, di cavalcare quella “grande occasione” che, unica, può dare senso alla sua vita.
Il segreto del Bosco Vecchio
In Il segreto del Bosco Vecchio, uscito nel 1935, troviamo ancora il tema della natura nella sua declinazione forse più potente. Una natura capace di schierarsi con l’uomo, ma anche di contrastarlo, e una natura tanto potente da essere personificata. Sarà il vento Matteo, infatti, ad aiutare il colonnello Sebastiano Procolo nel suo piano di ottenere la parte di eredità del nipote Benvenuto per tagliare il vecchio bosco improduttivo; dall’altro lato saranno i geni e gli abitanti del bosco come la gazza a difenderlo e a tutelare la parte di eredità del dodicenne. In quella che appare poco più che una favola infantile, ma che in realtà nasconde diversi livelli di lettura, nel finale si riscopre l’amore che unisce le famiglie; e interviene la morte proprio lì quando la redenzione è avvenuta.
Il deserto dei Tartari
Il 1940 è l’anno in cui viene dato alle stampe il capolavoro Il deserto dei Tartari. Titolo cambiato in corso d’opera da quello originale che doveva essere La Fortezza. Protagonista, in effetti, è proprio l’immaginaria Fortezza Bastiani dove viene mandato il sottotenente Drogo, convinto in qualunque momento di poter chiedere il trasferimento e andarsene. Solitaria e silenziosa, la fortezza da anni non è più minacciata dallo spauracchio dell’invasione tartara, una non meglio specificata popolazione delle vicinanze. Ma la vita al suo interno, scandita dalle rigide regole militari, gira intorno alle speranze segretamente nutrite dai soldati: che l’attacco dei tartari avvenga e avvenga presto. È la famosa grande occasione, che qui tutti attendono ma sembra non arrivare mai; una fantasia che serve a tutti, nell’isolamento e nella monotonia immutabile, per dare un senso ai gesti quotidiani e trasformare una vita ormai vuota in un atto potenzialmente eroico.
Intanto la fortezza, con i suoi ritmi dilatati e i suoi silenzi, piano piano s’insinua nella psiche dei soldati. Lo stesso Drogo, quando finalmente avrà la possibilità di trasferirsi, non lo farà, avviluppato com’è in quell’immobilità, tanto da sentirsi ormai straniero nella città da dove veniva. Alla fine il colpo di scena: i tartari attaccheranno davvero, ma come sempre quando è ormai troppo tardi. Drogo sentirà solo gli echi della battaglia, preso da quella che capisce essere la sua personale battaglia: la lotta alla malattia incurabile da cui è consumato e che lo condurrà a morire solo e lontano da casa.
La famosa invasione degli orsi in Sicilia
Completamente diverso, invece, La famosa invasione degli orsi in Sicilia, uscito a puntate sul Corriere dei piccoli nel 1945. È la storia della contrapposizione tra la popolazione degli orsi guidati da Re Leandro e quella degli uomini del Granducato di Sicilia. Tra incontri, scontri, intrighi e segreti svelati, gli orsi, una volta preso il potere dell’isola, inizieranno a imitare tutti i vizi più turpi dell’essere umano, dall’avidità alla corruzione. La vita tornerà a scorrere come sempre solo quando gli orsi decideranno di tornare sulle amate montagne lasciando agli uomini cattiverie e falsità.
Il grande ritratto
Passeranno quindici anni prima che Dino Buzzati torni in libreria con un romanzo: si tratta di Il grande ritratto, opera di fantascienza ante litteram, proprio per questo osteggiato dalla critica e sempre poco considerato, in realtà conteneva dei temi all’avanguardia per l’epoca. La storia, infatti, racconta di un misterioso centro di ricerche in cui viene messa a punto una fantasmagorica “Macchina Pensante” capace di riprodurre in tutto e per tutto la coscienza umana.
Un amore
Infine, nel 1963, con Un amore, Buzzati esplora il mondo dei rapporti tra uomo e donna. Ma lo fa alla sua maniera: leggendoli, cioè, attraverso la lente d’ingrandimento dell’ineluttabilità del destino.
Anche l’espediente narrativo scelto è piuttosto inusuale. Quello del lungo monologo interiore del protagonista Antonio Dorigo, stimato architetto milanese di mezza età, che ripercorre la sua inspiegabile passione per la giovanissima Adelaide, detta Laide, una ballerina della Scala minorenne che per arrotondare fa la prostituta nella casa d’appuntamenti da lui frequentata, quella della signora Ermelina. Dorigo se ne innamora follemente, ma la giovane lo sfrutta, facendosi mantenere pur continuando la vita disinibita di sempre. Lui se ne rende conto, ma non può fare a meno di lei; non può fare a meno della sensazione di pienezza che la vita a due gli dona, fino all’inimmaginabile svolta finale, all’insegna del trionfo dell’amore.
Nella vicenda si riscontrano alcuni elementi autobiografici della vita dell’autore che sposò nel 1966 Almerina Antoniazzi, di molti anni più giovane.
La prolifica penna di Dino Buzzati
Romanzi a parte, la penna di Dino Buzzati fu molto prolifica. Lo scrittore ci ha regalato decine di racconti, poesie, drammi teatrali e addirittura libretti per la musica. Ma celeberrime sono le raccolte dei suoi articoli. Dai già citati elzeviri fino ai pezzi di cronaca nera o ai reportage dei viaggi di Papa Paolo VI.
Di qualunque cosa scrivesse, qualunque fosse l’argomento trattato, Buzzati lo rendeva suo, ne faceva una questione personale che gli interrogava l’anima. In questo, probabilmente, risiede la sua grandezza.
Che ridere quando si viene a sapere che la vittima della sciagura automobilistica (troppo azzardato sorpasso) era ricchissima, aveva moglie e figli. A me fanno pena invece quelli che muoiono senza eredi di nessun genere. È terribile se non c’è nessuno che si rallegri della nostra morte, ma c’è solo gente che piange.
Foto | WikiCommons
Lascia un commento