Eurasia, soprattutto. Neolitico, soprattutto.
Nomadi
Per la maggior parte degli ultimi dieci mila anni il rapporto tra popolazioni nomadi e popolazioni sedentarie è stato complementare e interdipendente. Tuttavia noi sedentari ricostruiamo storie e geografie a nostra immagine e somiglianza, meglio esserne consapevoli. Ancor meglio risulta studiare e cercare di comprendere come e perché tanti gruppi di sapiens siano sempre restati in movimento, preferendo leggerezza di strutture e continui equilibrati adattamenti con gli ecosistemi circostanti.
I popoli in cammino che hanno plasmato le nostre civiltà
Una volta eravamo tutti cacciatori e tutti raccoglitori. I primi a smettere di fare l’una e l’altra cosa risalgono a non più di dodicimila anni fa. Il che non significa che prima eravamo tutti nomadi. Piuttosto erranti.
Alle radici del termine indoeuropeo nomos vi è il “pascolo”, uno specifico modo di “cacciare”. Poi il termine nomas indicò qualcuno errante in cerca di pascoli.
Le tribù pastorali erranti erano sia nomadi che stanziali, una parallela evoluzione si collegò ai cambiamenti climatici strutturali (che resero possibili allevamento e agricoltura) o frequenti (più o meno ciclici o stagionali). Dopo la costruzione dei primi agglomerati urbani e l’insediamento “residenziale” di un gran numero di persone, il termine “nomade” prese a essere utilizzato per indicare genti che vivono senza mura, ossia ai margini dei centri abitati.
Oggi noi sedentari lo usiamo in due modi molto diversi. Con un senso di nostalgia romantica e vagabonda, da una parte; come un carattere di sbandati senza fissa dimora, “sconosciuti” dall’altra parte.
Dodicimila anni fa la maggior parte dei (forse) cinque milioni di sapiens viventi erano nomadi. Per millenni comunità, popoli e imperi di nomadi sono restati ampi e potenti, ma hanno lasciato meno testimonianze scritte o “fisse”, poco leggibili con le lenti dei sedentari. Eppure…
L’accurato studio di Anthony Sattin
Il giornalista, storico, conduttore televisivo e scrittore di viaggi Anthony Sattin (1956) rilegge in modo appassionante la preistoria e la storia dal punto di vista dei gruppi umani in movimento, dai trionfi passati che hanno sempre e comunque plasmato le nostre civiltà, alla riduzione progressiva di numero e a una sorta di demonizzazione attuale dei “nomadi”.
Struttura del saggio Nomadi
La prima parte riguarda i tanti primi millenni del Neolitico in cui le popolazioni stanziali e quelle nomadi (che comunque entrambe scolpivano ed erigevano monumenti, avevano culti e celebravano i luoghi dei morti, tramandavano storie) per lo più convivevano e collaboravano, poiché l’umanità passò certo per gradi dalla caccia e dalla raccolta dei “frutti” della terra all’agricoltura e alla pastorizia.
La seconda parte riguarda il millennio circa successivo alla caduta dell’Impero romano. Descrive l’ascesa e la caduta dei grandi imperi creati da sapiens che rifiutavano un solo luogo in cui risiedere: Unni, Arabi, Mongoli, dinastia Yuan. Proprio i nomadi hanno poi molto contribuito al Rinascimento europeo con una grande capacità di influenza permanente sul mondo degli Stati in formazione di noi sedentari.
La terza parte si apre con l’inizio dell’era moderna, con gli studiosi dell’Occidente a insistere sul fatto che i bianchi dovessero padroneggiare il mondo naturale e dominare tutto il mondo abitato. In questo periodo, segnato dalla competizione e dalla rivalità, i nomadi scompaiono del tutto dall’immaginario europeo. La globalizzazione mercantile, tuttavia, non può cancellarli dalle realtà culturali e commerciali interconnesse. La leggerezza dei nomadi, il modo in cui si sono adattati a essere agili nel pensiero e flessibili nell’azione, nonché l’equilibrio che hanno mantenuto con il mondo naturale possono darci ancora conoscenze e indicazioni fertili.
Il libro
Anthony Sattin
Nomadi. I popoli in cammino che hanno plasmato le nostre civiltà
Traduzione di Alessandra Manzi
Neri Pozza, 2023
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