Veneto. Settembre 1992. La piccola folla di una ventina di persone attende davanti al portone d’ingresso della villetta monofamiliare. Vi viveva Maria Carrer, nata a Zenson di Piave il 10 febbraio 1910 e deceduta due giorni prima, il 4 settembre 1992, a 82 anni.
La cassa refrigerata
L’incaricato delle pompe funebri apre la casa poco dopo le 15 e consente così l’accesso disordinato alla camera ardente, il feretro sulla sinistra del soggiorno in una bara di lusso color bianco avorio, sormontata da un monumentale coperchio refrigerante Body Freeze, con un oblò sulla parte anteriore.
I presenti si raccolgono vicino alla salma, in silenzio, forse compresi nel cordoglio, pur avendo poco o nulla conosciuto la morta in vita.
Non ci sono parenti stretti, nemmeno amici, giusto la donna delle pulizie e altri che avevano fatto lavoretti o servizi per lei, una donna con bimbo, curiosi imboscati, ipocriti affaristi, cinici illusi, soprattutto compaesani ovviamente.
Tutti comunque pensano che era tirchia e ricchissima, non aveva conti in banca, forse ha nascosto i soldi dentro casa in qualche anfratto, basterebbe trovarli (magari fra i libri o nei bagni) senza farsi scoprire. Perlopiù cominciano scompostamente a cercare, facendo finta di niente, accampando frasi di circostanza e addirittura intascando oggetti.
Il fatto è che fuori incombono nubifragio e tempesta e dentro si scatenano risse e disagi, ognuno preso da conflitti familiari, competizioni, innamoramenti, in una ricerca individuale di denaro e senso.
Tanti sfruttano l’occasione: coniugi per mandarsi a quel paese in pubblico, coetanei sconosciuti per promettersi amore reciproco, colonnelli in pensione per comandare ancora, amanti o furbi per nascondersi, estranei per capirci qualcosa, altri per altro. Finché non ci scappa il morto ammazzato, un primo, un secondo, un terzo.
Il quadro criminale precipita dentro, mentre l’alluvione avanza fuori, va via pure la luce, acqua e fango lambiscono porte e finestre. Sono proprio isolati dal mondo civile?
La serie toscana di incubi di Francesco Recami
L’irriverente divertente scrittore satirico toscano Francesco Recami (Firenze, 1956), noto in passato soprattutto per romanzi e racconti dedicati ai condomini di una casa di ringhiera a Milano, continua la nuova serie toscana di favole (incubi) noir, giunta al quarto episodio, ancora in terza varia, questa volta ad ambiente rigido e fisso, l’interno della casa con la refrigerata cassa (da cui il titolo), quasi con la macchina da presa in mano, lì nel backstage dell’inedito spettacolo drammaturgico in corso, momenti di massa e primi piani, dialoghi e riflessi.
La stessa struttura del romanzo La cassa refrigerata è organizzata in trenta “scene”, ognuna con la specificazione di quante sono le persone presenti, viventi e defunte, in totale minimo 22 massimo 24 (anche se poi l’ultima riguarda solo 2 di loro, un anno dopo).
I protagonisti
La protagonista de La cassa refrigerata non è la vittima, molto odiata e poco frequentata, che possedeva alcune farmacie e poi aveva liquidato tutto.
I protagonisti siamo noi, le dinamiche di persone in un gruppo e in un ambiente chiusi, come nascono gli schieramenti di pragmatisti e utilitaristi, oppure di trasversali e opportunisti; come si approvano mozioni d’ordine; del come si individuano capidelegazione, comitato dei probiviri, giunta esecutiva, servizio d’ordine, delegazioni; come non si entra o non se ne esce vivi o almeno sani di mente.
La villetta aveva una cantinetta, per altro, una cinquantina di bottiglie di vino, che hanno un senso in quella regione, alle quali andrà trovato un senso in quel contesto.
Per i soldi a nessuno viene in mente Edgar Allan Poe, non tutti conoscono i fondatori del genere che amano leggere, giallo o mystery che sia.
Il libro
Francesco Recami
La cassa refrigerata
Sellerio, 2020
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