5 belle poesie di Dante Alighieri

5 fondamentali poesie di Dante Alighieri

Da più parti, in questo lungo periodo di isolamento casalingo, si sentono consigli per meglio affrontare la noia da quarantena: alcuni sono sensati, altri meno, ma si sa, l’uomo medio – specie da quando esistono i social network – è dispensatore di consigli non richiesti… Certo è che l’invito a leggere un buon libro dovrebbe sempre essere colto, non solo in circostanze estreme come quelle che stiamo vivendo, ma il tempo a disposizione conta, perciò se ora ne avete davvero più di prima, perché non approcciarsi a qualche testo magari più ostico? Un suggerimento potrebbero essere le poesie di Dante Alighieri, che poi sarebbe più corretto chiamare sonetti: produzioni meno note e studiate a scuola della Divina Commedia, certo, e forse proprio per questo da riscoprire, specie in periodi di celebrazioni dantesche.

Le poesie di Dante Alighieri che dovresti leggere

Per i componimenti che citeremo in questo post, lasciamo che vi cerchiate da soli in rete il testo completo per evidenti problematiche di spazio.

Amore e ‘l cor gentil sono una cosa

Questo sonetto, incluso nel capitolo XX della Vita Nova, è in realtà stato scritto prima della composizione dell’opera in cui è poi stato incluso e ragionevolmente: anche qui, infatti, come sempre, si parla d’amore, sentimento che può essere espresso solo da un cuore gentile; i due, anzi, è che come se fossero una cosa sola. Un concetto caro a Dante, più volte e in più occasioni ribadito anche se in forme e verseggi diversi. L’identità tra cuore gentile e amore è tale da essere paragonata a quella tra il saggio e i suoi insegnamenti, in un continuo duello, già allora compreso e discettato, tra cuore e cervello, sentimento e ragione.

De gli occhi de la mia donna si move

In questo sonetto del tempo della Vita Nova, c’è già tutto il mito della donna angelicata caratteristico della poetica di Dante. Da questa donna, infatti, procede una luce così forte, che illumina e fa nuove tutte le cose, perciò questa creatura viene accostata a una presenza e a un potere quasi divino… Siamo nel pieno dello stilnovo come lo intende e lo rinnova il Sommo Poeta e l’alternarsi dei versi ripercorre l’alternarsi delle sensazioni che questo nuovo amore produce: dalla contemplazione al tremore dell’anima che fugge, ma proprio per questo in lei si riaccende il desiderio della primigenia contemplazione.

Deh, Violetta, che in ombra d’Amore

Dalle Rime traiamo questo sonetto in cui viene immediatamente da chiedersi: chi è ora ’sta Violetta? Ma Dante non era perduto per Beatrice? Ecco, siete caduti nel suo tranello: Violetta è qui probabilmente una donna-schermo, cioè una donna (reale o inventata poco importa) sulla quale il poeta proietta i propri sentimenti e i propri palpiti per non proiettarli direttamente sull’amata e non metterla in imbarazzo… essendosi lei già sposata o comunque promessa a un altro uomo, aggiungerei. La bellezza di questi versi risiede nel fatto che l’autore si rivolge direttamente a lei, con il proprio cuore ferito, e la mia sensazione è che qui voglia parlare di un amore un tantino più terreno, poco appropriato a una donna angelo, perché parla di desiderio, di forme umane, di spirito cocente e addirittura di fuoco… e scusate se è poco.

Tanto gentile e tanto onesta pare

Tra le poesie di Dante Alighieri c’è da annoverare questo sonetto, celeberrimo, contenuto nel capitolo XXVI della Vita Nova, questo sappiamo che Dante lo dedica espressamente a Beatrice, raggiungendo vette altissime di stilnovismo, certamente i punti sommi dello “stile della lode”.

È la donna angelo per eccellenza, lei, emanazione di Dio, che solo con il suo saluto è capace di dispensare la salvezza e la beatitudine eterna. Da rilevare anche che questa donna immensa non è descritta fisicamente da nessun elemento se non dalla luce che pervade tutto il componimento pur senza essere citata espressamente. Gentile e onesta, poi, sono i due aggettivi per antonomasia che Dante attribuisce sempre a Beatrice, mentre un ultimo dettaglio da notare è il fatto che la chiami “donna mia”, che non significa quello che significherebbe oggi, ma è un’evoluzione del latino “mea domina”, cioè padrona, nel senso di padrona del cuore e dei sentimenti del poeta.

Un dì si venne a me Malinconia

Ancora personificazione del sentimento dell’amore, in questo splendido sonetto in realtà un po’ diverso dagli altri… sì, perché qui Amore riceve la visita di Malinconia che è la personificazione del sentimento corrispondente.

C’è un tono confidenziale, come se questo componimento fosse recitato all’orecchio e sottovoce, ma in realtà porta con sé una grande angoscia: Dante, infatti, qui prefigura la morte dell’amata, cioè di Beatrice. C’è da dire, infatti, che nel Medioevo la malinconia non era un sentimento sottile e insinuante, a tratti piacevole come lo concepiamo oggi, ma era vissuto come la più nera delle disperazioni, quelle da cui è difficile risollevarsi una volta provate, tanto è vero che Dante la fa accompagnare da due fidate e spaventose ancelle: Ira e Dolore. Purtroppo si tratta di sentimenti fin troppo comuni, in questo particolare tempo di difficoltà, ma come possiamo, allora, tirarci su? Sempre con le parole di Dante, quelle cui affida la conclusione della prima cantica del suo capolavoro: “E quindi uscimmo a riveder le stelle”. Accadrà anche a noi. Speriamo presto.

Foto | The Miriam and Ira D. Wallach Division of Art, Prints and Photographs: Print Collection, The New York Public LibraryDante [Folder I].

Roberta Barbi

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