Rossana Rossanda

È scomparsa Rossana Rossanda, la “ragazza del secolo scorso”

“Mi dispiacerebbe morire per i libri che non avrò letto e i luoghi che non avrò visitato. Ma le confesso che non ho più nessun attaccamento alla vita”. Aveva detto così, Rossana Rossanda, classe 1924, al giornalista di Repubblica nel febbraio 2015. Ma in realtà lo ripeteva da tempo: quando Karol (incontrato a quarant’anni dopo le nozze con Rodolfo, figlio del suo mentore, il filosofo Antonio Banfi) se ne sarebbe andato, non ci sarebbero stati più molti motivi per andare avanti, convinta com’era che non si riesce mai a elaborare davvero un lutto, ma questo diventa inevitabilmente una parte di te, e una parte incancellabile.

Purtroppo era accaduto alla fine: K. S. Karol se n’è andato ad aprile 2014 e per Rossana Rossanda non riusciva più a essere un buon motivo per vivere neppure la bellezza del mondo (nonostante gli uomini che lo abitano), che diceva l’avesse salvata più volte, specialmente dopo le delusioni politiche; a 88 anni, poi, si era aggiunto anche un ictus che l’aveva lasciata paralizzata nel fisico, ma ovviamente non nella mente né nello spirito; non c’era neppure il conforto della fede, dell’idea di Dio, che affermava di non possedere più dall’età di quindici anni, pur considerando il cristianesimo e le religioni “una gran cosa”.

Qualche rimpianto? Forse, per le cose che ognuno di noi crede di poter fare nella vita, prima o poi, ma che non farà mai: “Ho una certa invidia per le mie amiche che hanno fatto cinema – aveva detto una volta – in fondo i buoni film come i buoni libri restano. Il mio lavoro, ammesso che sia stato buono, è sparito”.

Rossana Rossanda, ragazza del secolo scorso

Si considerava una “ragazza del secolo scorso”, come recitava il titolo del suo libro uscito nel 2005 che le fece sfiorare il Premio Strega, una donna talmente inserita nel Novecento, quel secolo i cui figli hanno “vissuto una storia terribile, ma una grande storia, mentre oggi ci sono solo storielle” e che faticava a ritrovarsi in questo nuovo millennio, nel rapporto con le generazioni più giovani, un incontro che divenne uno scontro che la portò addirittura, nel novembre 2012, a lasciare in polemica Il manifesto, quotidiano politico che aveva contribuito a fondare nel 1969 assieme ai compagni Luigi Pintor, Valentino Parlato e Lucio Magri.

Il manifesto

Anche la loro, in fondo, all’epoca, fu una rottura che parve generazionale, un’opposizione decisa al socialismo reale dell’Unione Sovietica di cui fuori da quei confini immensi si sapeva troppo poco, e che fu il motivo per cui i tre furono espulsi dal Partito Comunista in quello stesso anno, nonostante il parere contrario di Enrico Berlinguer. In fondo Il manifesto era un tentativo di fare da ponte tra il Sessantotto e la vecchia sinistra, ma alle elezioni del 1972 (Il manifesto era anche un partito, di cui il famoso quotidiano era, appunto, l’organo di stampa) la sonora sconfitta, trasformata nella cocente delusione: raggiunse appena lo 0.8%. Prima di essere radiata dal Pc, però, Rossana aveva ricoperto incarichi di prestigio, come essere responsabile culturale del partito, fino ad arrivare in Parlamento nel 1963.

Ma forse lo strappo dal Manifesto, rispetto all’addio al Pc, è stato più forte, più lacerante, anche a causa dell’età in cui lo ha vissuto. Rossana Rossanda ne parlava così:

Non siamo noi a essercene andati. È Il manifesto ad averci cacciato. L’abbiamo perso. Non voleva più saperne di noi, e noi ci siamo ritirati. Anche stupidamente, perché dovevamo essere noi a far tacere i più giovani. C’è stata una grandissima cesura, tra la nostra generazione e quella successiva. Mossi da una sorta di risentimento, non fanno che dirci: “Soltanto un mucchio di macerie, ecco quello che ci avete lasciato. Voi, con le vostre certezze e le vostre idee granitiche”. È la frase più stupida che abbia mai sentito.

Aveva toccato con mano la realtà che i figli, per crescere, hanno bisogno di “uccidere” i genitori, ecco cos’era successo, così a un certo punto aveva preferito mollare, lei che, pur costretta su una sedia a rotelle, non rinunciava allo scontro quando ce n’era bisogno, mentre la redazione prediligeva ormai abolire il conflitto, ritenendolo “roba del secolo scorso” e preferendo ai veri temi sociali “una mescolanza confusa di beni comuni ed ecologismo”.

Sarà per questo che affermava anche di non tenere troppo alle sue radici, affondate in quella dura terra di confine che è l’Istria, e di non ricordare nulla della sua infanzia che fosse antecedente ai sette anni. Anche con i suoi genitori, che non la volevano certo comunista (il padre era un borghese che perse tutto nella crisi del 1929), lo scontro fu durissimo, figuriamoci quando capirono che non avrebbe avuto un marito e una famiglia tradizionale, piena di figli. “Non ci penso. La vera identità uno la sceglie, il resto è caso. Non vado più a Pola da una quantità di anni che non riesco neppure a contarli”.

I suoi scritti

Negli ultimi anni, lontana dalla politica e poi anche dal giornalismo, frequentava delle nobili arti solo la letteratura, ma tutti i suoi scritti, il patrimonio culturale che ora ci lascia in eredità, non può non avere a che fare con la sua militanza, parte fondamentale della vita stessa, e che forse possono essere considerati i figli che non ha mai avuto.

Ne ricordiamo alcuni, come L’anno degli studenti, pubblicato nel 1968, in cui affermava la sua appassionata adesione alla contestazione giovanile, fino a Un viaggio inutile o della politica come educazione sentimentale, ma anche saggi quali Il marxismo di Mao-Tse Tung e la dialettica, o Brigate rosse. Una storia italiana.

A proposito di Br, indimenticabile un suo editoriale apparso sulla prima pagina del Manifesto il 28 marzo 1978, pochi giorni dopo il rapimento di Aldo Moro:

Chiunque sia stato comunista negli anni Cinquanta riconosce di colpo il nuovo linguaggio delle Br. Sembra di sfogliare l’album di famiglia: ci sono tutti gli ingredienti che ci vennero propinati nei corsi Stalin e Zdanov di felice memoria. Il mondo, imparavamo allora, è diviso in due. Da una parte sta l’imperialismo, dall’altra il socialismo. L’imperialismo agisce come centrale unica del capitale monopolistico internazionale. […] Vecchio o giovane che sia il tizio che maneggia la famosa IBM, il suo schema è veterocomunismo puro. Cui innesta una conclusione che invece veterocomunista non è: la guerriglia.

Inutile dire che in molti le si scagliarono contro, accusandola di revisionismo e forse dimenticando che la coerenza a se stessi, quando è cieca, non è altro che la virtù degli imbecilli.

Foto | dati.camera.it, CC BY 4.0, attraverso Wikimedia Commons

Roberta Barbi

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