Grande seno, fianchi larghi, pubblicato in Cina nel 1992, è un colossale affresco della Cina rurale del XX secolo. È più che un proseguimento, si potrebbe definire, mutuando un concetto dell’informatica, una “espansione” del romanzo Sorgo Rosso scritto dallo stesso autore e pubblicato circa otto anni prima.
Grande seno, fianchi larghi
La vicenda, infatti, inizia nello stesso luogo e nella stessa epoca nella quale si svolgono le vicende della precedente opera. Il lettore viene quindi trasportato in Cina, nel distretto rurale di Gaomi, nei tragici istanti dell’invasione da parte delle truppe giapponesi, accompagnata dai massacri e dalle atrocità che purtroppo hanno da sempre accompagnato simili eventi.
Lo scenario che fa da sfondo è ancora una volta il paesaggio naturale del distretto dello Shandong. Un paesaggio reso in modo magistrale dalla penna di Mo Yan. Il mutare delle stagioni è preannunciato e accompagnato dal cambiamento dei colori della vegetazione, dalla fioritura delle piante, dalle fasi del raccolto, dalla migrazione degli uccelli, dai pesci che risalgono la corrente e da altri eventi, come la riproduzione delle rane. Il ciclo della natura guida e dirige le attività dell’uomo, almeno sino a quando il villaggio di Dalan rimane un borgo agricolo.
Un’epopea familiare
Anche Grande seno, fianchi larghi è, in un certo senso, un’epopea familiare. Questa volta la dinastia protagonista è quella degli Shangguan. In essa ruolo di primo piano spetta alla coraggiosa, saggia e determinata madre Shangguan Lu e alle otto figlie femmine. La vastissima carrellata di personaggi che ruotano attorno a questa famiglia non si limita a due sole generazioni e nemmeno alla sola famiglia Shanngguan. Si estende, infatti, alla vivace e colorita comunità del borgo di Dalan. Ci vengono mostrate le trasformazioni che intercorrono nell’arco di circa novantacinque anni, corrispondenti, più o meno, alla durata della lunga vita della matriarca.
Il figlio maschio che non arriva
Nonostante la predominanza dell’elemento femminile nelle vicende umane del romanzo, il protagonista “ufficiale” è Jintong. È l’unico e tanto atteso figlio maschio di Shangguan Lu giunto, assieme a una gemella cieca e con un parto particolarmente travagliato, dopo sette sorelle. Giunge dopo che la vita della madre era stata resa miserabile dai continui maltrattamenti del resto della famiglia a causa della sua incapacità di dare alla luce un erede che potesse continuare la dinastia.
L’agognato figlio maschio, però, nonostante il nome beneaugurante di “ragazzo d’oro” (è questa, più o meno, la traduzione di Jintong) non sarà affatto colui che riscatterà le sorti della famiglia. Anzi si rivelerà di carattere debole e afflitto da disordini psico-somatici di vario tipo. Primo tra tutti una simbolica inabilità allo svezzamento, che lo costringe a nutrirsi per moltissimo tempo di solo latte materno, per poi passare a quello di capra. E poi a una (conseguente?) ossessione per il seno femminile.
La figura dell’inetto
Jintong, però, è anche il narratore del romanzo. Il fatto che sia in grado di raccontare, talvolta, anche eventi precedenti di molti anni la sua nascita e di entrare nella mente degli altri personaggi, non deve stupire più di tanto chi si appresta a leggere le opere di Mo Yan.
Questa figura di novello “inetto” cinese sarà testimone, tra varie peripezie, di circa mezzo secolo di storia del suo paese, senza tuttavia spostarsi dal suo distretto natio.
Grande seno, fianchi larghi: uno sguardo sul mondo cinese
L’epopea della dinastia Shangguan attraversa anche le diverse fasi del periodo maoista e le varie campagne promosse dal regime. Il lettore non farà fatica a credere che Mo Yan possa aver effettivamente avuto qualche problema con il governo cinese a causa di questo libro. Tuttavia si ha l’impressione che il suo impietoso occhio critico sia rivolto ai singoli individui coinvolti nell’apparato politico, burocratico e amministrativo, piuttosto che al regime in quanto tale.
A prescindere dall’epoca nella quale si muovono i suoi personaggi, il giudizio sull’umanità che traspare dalle pagine di questo autore non è quasi mai positivo. Non cambia neanche quando descrive gli effetti della graduale liberalizzazione promossa dal regime tra la fine degli anni ’80 e gli anni ’90 del secolo scorso, che sconvolgerà completamente il tranquillo villaggio agricolo di Dalan, trasformandolo radicalmente. Mo Yan non perde alcuna occasione per mettere alla berlina le piccole e grandi meschinità, sopraffazioni e violenze di cui il genere umano si rende capace, sia nei periodi di miseria che in quelli di prosperità.
La passione di Mo Yan per i dettagli truculenti
Mo Yan non risparmia neanche stavolta al lettore i particolari truculenti. Talvolta dà l’impressione di provare uno strano piacere a rimestare nel torbido. Tuttavia è anche capace di dar vita a momenti di estrema tenerezza. La crudezza delle descrizioni realiste si alterna a parti nelle quali prevale un’atmosfera da fiaba e alle “visioni” del protagonista, che fanno irruzione qua e là durante la storia. In esse le creature magiche o mitologiche della tradizione cinese fanno capolino nel tribolato mondo degli uomini e talvolta vi interagiscono.
Pur non esagerando con i flashback e i flash-forward come aveva fatto nel precedente Sorgo rosso non si può dire che la narrazione sia perfettamente cronologica e lineare. Infatti, se volete sapere come la vicenda inizia, dovete leggere Grande seno, fianchi larghi sino alla fine.
Il libro
Mo Yan
Grande seno, fianchi larghi
traduzione di Giorgio Trentin
Einaudi, 2006
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