Bernard Malamud

Bernard Malamud, cantore dell’etica del lavoro

Lo diciamo subito. Bernard Malamud, l’autore di cui parliamo oggi, era un americano di origini russe, figlio di migranti ebrei. Lo diciamo perché questo ci fa entrare immediatamente in quelli che saranno i temi principali della sua poetica, che evidentemente gli lavoravano dentro ancora prima che impugnasse la penna.

L’etica del lavoro, il senso del dovere oltre ogni limite, il desiderio spasmodico di esserci e farsi benvolere, lo sguardo sulla realtà migrante del diciannovesimo secolo, vissuta nel contesto urbano di New York. Tutto concorre a costruire la personalità artistica e non solo di questo autore sempre in bilico tra l’ideale del self made man e il cruccio della malattia mentale che si porterà via prima sua madre, poi suo fratello.

Bernard Malamud: farsi da solo e diventare… fuoriclasse

Delle origini di Malamud abbiamo già parlato. Aggiungiamo solo il fatto che viene al mondo nel 1914 in una famiglia già segnata dalla morte di un figlio e che, purtroppo, sarà solo il primo di una serie di lutti sconvolgenti.

La sua voglia di riscatto è chiara fin da subito. Nel 1936 riesce a laurearsi al City College di New York, struttura riservata ai ceti meno abbienti. Poi consegue un master in letteratura inglese alla Columbia. Fa il supplente, il portiere d’albergo, l’impiegato al fisco e l’insegnate alle scuole serali, ma intanto scrive. Scrive per lo più racconti, tantissimi, negli anni Quaranta, che iniziano a essere pubblicati sulle riviste. Il suo primo romanzo, The Light Sleeper, ultimato nel 1948, andrà perduto perché sarà lui stesso a bruciarlo nel 1951, deluso dai continui rifiuti degli editori. Anche per questo il titolo è rimasto solo in inglese.

Il successo però arriva, eccome. Nel 1952 la critica lo elogia come “scrittore promettente” dopo la pubblicazione di Il migliore (che in Italia sarà poi riedito con il titolo Il fuoriclasse), una storia di riscatto personale che diventa il riscatto – tardivo – di una generazione, ambientato nel selettivo mondo del baseball.

Il commesso, ovvero I giovani di bottega

Doppio titolo in traduzione anche per il capolavoro con cui Malamud è noto nella letteratura mondiale. Il suo secondo romanzo, edito nel 1957, vince numerosi premi. Anche qui, al centro, c’è l’umanità schiacciata dalla grande città, il cui degrado s’insinua nei meandri più reconditi perfino della comunità ebraica cui lui appartiene e che è tra i protagonisti dell’opera.

È la storia di un droghiere 65enne, Morris Bober (che in yiddish pare significhi “mediocre”) ormai mezzo fallito perché il suo negozio non riesce a stare al passo coi tempi, ma che comunque va avanti grazie alla sua integrità e alla sua dedizione al lavoro. Una bella botta gliela dà, però, subire una violenta rapina, in seguito alla quale si farà aiutare in negozio dal giovane Frank (in realtà un complice dei rapinatori) un 25enne dal passato turbolento che viene dall’ovest e che inizierà una tormentata storia d’amore con Helen, la figlia di Morris, naturalmente osteggiata dalla famiglia anche perché Frank non è ebreo, anche se per amore sarà disposto a convertirsi.

Tra sfortune, senso di colpa tipicamente ebraico e una continua tensione stilistica, emotiva e, naturalmente etica, non stupisce che questo romanzo sia diventato il masterpiece di Malamud, che ci infila anche qualche elemento autobiografico della sua infanzia.

Altre opere di Bernard Malamud tra attualità e gusto personale

Termino questo breve viaggio all’interno della letteratura di Bernard Malamud con qualche altra opera che mi preme farvi conoscere.

L’uomo di Kiev

Innanzitutto L’uomo di Kiev, che di questi tempi colpisce particolarmente, anche se la storia è tutt’altra (o forse no?). Il romanzo viene pubblicato nel 1966. È basato su una storia accaduta nel 1913 a un ebreo ucraino imprigionato ingiustamente nella Russia zarista. L’accusa era di aver ucciso un ragazzo di 13 anni per motivi rituali legati alla Pasqua ebraica. Il romanzo si fonda sulle memorie autobiografiche che questo tale Menahem Mendel Beilis scrisse nel 1929. Su di esse Malamud, però, lavora, scolpendo sapientemente le emozioni del protagonista. Nonostante questo subirà, però, un’accusa di plagio.

Gli inquilini

Segnalo poi il romanzo Gli inquilini (1971), pressoché ignorato dai critici, ma apprezzato dalla sottoscritta che umilmente ha deciso di sottoporvelo. Protagonista è uno scrittore newyorkese, ultimo inquilino di uno stabile destinato alla demolizione. Non vuole andarsene finché non avrà finito il suo romanzo sul quale lavora da dieci anni. Un giorno si infila nello stabile di nascosto un altro aspirante scrittore che sta scrivendo il suo libro. I due si confrontano, si sfidano ma finiscono per diventare amici anche se non potrebbero essere più diversi.

Le vite di Dublin

Infine, vi propongo Le vite di Dubin, uscito nel 1979, che Bernard Malamud considerava il suo romanzo meglio riuscito. Anche questa è la storia di uno scrittore ebreo sposato con una non ebrea, che poi intreccerà una relazione con una donna molto più giovane. E anche qui sono molti e forti gli elementi autobiografici ravvisati, che tuttavia in seguito l’autore negherà in tutte le interviste concesse sull’opera.   

Foto | John Bragg, Public domain, attraverso Wikimedia Commons

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Roberta Barbi

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