Minuta, lo sguardo impaurito, vivo ormai solo di malinconia, e un talento per la poesia che suscitò l’ammirazione dell’esigentissima Virginia Woolf e l’appoggio incondizionato di Thomas Hardy. Ma tutti questi encomi letterari non bastarono a salvare Charlotte Mew (1869-1928) dal disastro economico e sentimentale che l’avrebbe da lì a poco travolta.
Chi era Charlotte Mew
La biografia di Penelope Fitzgerald, pubblicata nel 1988, ne ricostruisce con toccante sobrietà il suicidio drammatico, il tentativo disperato del medico di salvarle in extremis la vita e soprattutto la voce straziata e straziante della stessa Mew che invece lo implorava di lasciarla “andare”, di non frapporsi più tra lei e la morte. Un epilogo tragico, lungamente annunciato da anni di inconciliabile mestizia; di profonda ed incurabile depressione. Anni segnati, almeno in parte, da una povertà appena decorosa, da una solitudine resa via via più assoluta dal ricovero in manicomio dei fratelli, dalla morte prima della madre e poi nel ’27 della amatissima sorella Anne.
Eppure infanzia e prima giovinezza ebbero l’innegabile sigillo della prosperità, vissuti per intero tra le rassicuranti mura di una grande casa signorile, accanto alla rincuorante e vigile presenza di una governante, come era allora de rigueur per tutte le giovani di buona famiglia. Fu in verità la morte del padre, celebre architetto londinese, a dare inizio a un’inattesa, inarrestabile parabola discendente. Un impoverimento progressivo che Charlotte Mew cercò di arginare, scrivendo novelle e storie per quotidiani e riviste.
Tuttavia il vero talento della scrittrice, non vi è dubbio, batte tutto e senza fallo nella poesia. In raccolte come The Farmer’s Bride (che nell’adolescenza mi lasciò scosso e meravigliato per diversi giorni) o The Rambling Sailor, uscito postumo ne 1929, dove la voce della Mew punta direttamente alla modernità, toccando in profondità (e come pochi altri) le cangianti ed affamate radici dell’animo umano.
Una sua poesia
Qui di seguito una celebre e toccante poesia della Mew, dove la morte le vola incontro con viso inaspettatamente gentile:
Sorridi, Morte, vedi come io ti sorrido venendo a te
diretta dalla strada e dalla brughiera che mi lascio alle spalle,
nulla sulla Terra è stato per me come questo spazio attraversato dal vento,
nulla è stato come la strada, ma al termine c’era una visione o un volto
e gli occhi non erano sempre gentili.
Sorridi, morte, mentre mi assicuri le lame ai piedi,
su, su, pattiniamo oltre i salici dormienti spolverati di neve;
veloci, veloci lungo il rivo ghiacciato, con la brughiera e la strada e la visione alle spalle
(Mostrami il tuo volto, ma come, gli occhi sono gentili!)
e non parleremo della vita, né crederemo in essa o la ricorderemo mentre andiamo.
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