Il romanzo Gita al faro venne pubblicato nel 1927, quando la sua autrice, Virginia Woolf, aveva già superato i quarant’anni. Fu attraversando Tavistock Square a Londra che Woolf sentì riemergere dalle proprie profondità – in tutta la sua perentorietà – il faro.
Gita al faro
Dopo quella apparizione così lontana nel tempo, ma saldamente ancorata al suo ricordo, il libro, destinato a rivoluzionare il romanzo classico, a darle imperitura fama, nacque velocemente. L’ossessione per la madre che l’aveva perseguitata e inseguita per decenni trovò finalmente pace. Le felici estati a St. Ives si sparpagliarono magicamente sulla pagina. La madre, così evocata, risorse per lasciare poi un tempo di gran quiete nel cuore di Virginia.
1. Il romanzo è ispirato a infanzia e adolescenza della scrittrice
Gita al faro rimane certamente uno dei romanzi più autobiografici che la grande scrittrice inglese abbia mai scritto. La sua stesura consentì a Woolf di affrontare e risolvere alcuni conflitti interiori strettamente legati ai suoi genitori. Molte le analogie tra i Ramsay e gli Stephen che amavano trascorrere le vacanze estive a St. Ives in Cornovaglia. Solo la morte prematura della madre della scrittrice mise la parola fine a quelle felici estati nel sud-ovest dell’Inghilterra.
2. Virginia Woolf si ispirò ai propri genitori per il signor e la signora Ramsay
Il diario di Virginia Woolf, scritto nel 1925, lo rivela senza tentennamenti. Il romanzo doveva essere non solo breve, ma mettere anche in rilievo carattere e personalità dei propri genitori. La potente evocazione della madre in Gita al faro toccherà in profondità anche Vanessa Bell, sorella della scrittrice.
3. Il faro del romanzo esiste realmente
Virginia Woolf per il faro del suo romanzo si ispirò a quello realmente esistente di Godrevy Island che apparve anche sulla prima copertina di Gita al faro, disegnato dalla sorella Vanessa Bell, pittrice e designer di talento.
4. Gita al faro segna una voluta rottura con il romanzo classico
Diviso in tre parti (La finestra, Il tempo passa e Il faro), il romanzo si dipana attraverso una serie di monologhi interiori che inseguono le diverse prospettive dei suoi personaggi. Una tecnica già usata per La stanza di Jacob e La signora Dalloway. Un affrancamento dal passato che porta a una rottura (caparbiamente voluta e cercata) con il romanzo di impostazione classica.
5. Questo romanzo confuse i critici
Il romanzo, uscito nel 1927, ebbe un’accoglienza mista, divisa tra la perplessità di alcuni critici e colleghi (citiamo al volo il romanziere Arnold Bennett) e gli encomi, non sempre pieni, di altri (qui ricordiamo invece la recensione del New York Evening Post), pronti a sottolineare come Gita al faro fosse in verità poesia e non prosa. Questo implicava però che ne avesse, almeno in qualche modo, anche i punti deboli. Tuttavia la scrittrice, nonostante le critiche, era certa di aver dato alle stampe il suo romanzo migliore e le vendite le diedero ampiamente ragione.
6. Gita al faro non simboleggia nulla
Fin dalla sua prima pubblicazione, molti hanno voluto cercare e identificare nel romanzo simboli e significati come desiderio, verità o stabilità. Virginia Woolf, tuttavia, non sembrava affatto incline a questa particolare chiave di lettura. Il lettore leggendolo, sosteneva cristallinamente la scrittrice, doveva farsi carico e interprete della propria interiorità emotiva. Il simbolismo non era particolarmente nelle sue corde e poteva usarlo solo in un modo vago e generalizzato’’. Perché non crederle?
7. Margaret Atwood ha apprezzato il romanzo di Virginia Woolf solo da donna matura
Il primo incontro della celebre scrittrice canadese con Virginia Woolf avvenne a scuola, quando aveva 19 anni. Gita al faro le parve però sfuggente e inconsistente. Le ci vollero anni di esperienza, che la vita, con il suo pesante carico di dolore e perdita, facesse il suo corso, per vederne finalmente tutta la profondità. Tutta la dolente bellezza.
Via | Mentalfloss
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