Bartolomé de Las Casas (1474-1566)

Bartolomé de Las Casas e la denuncia della schiavitù

Quando nel 1502 Bartolomé de Las Casas si recò nelle Indie (ovvero in America Centrale) per curare gli interessi di famiglia, non immaginava che la sua vita ne sarebbe stata completamente stravolta.

Chi è stato Bartolomé de Las Casas

Nato nel 1474 a Siviglia e morto il 17 luglio 1566 a Madrid –, anche se sulla data della morte ci sono diverse fonti: 17, 18 o 31 luglio – Bartolomé de Las Casas lasciò ai suoi contemporanei e ai posteri una serie di scritti che raccontavano gli effetti della scoperta di Cristoforo Colombo sia sulle popolazioni indigene sia su quelle schiavizzate e trasportate nelle nuove terre al servizio dei colonizzatori.

Nei primi tempi, dovendo amministrare le terre della sua famiglia, fu anche lui, come molti, un encomendero. L’encomienda era la facciata ufficiale della schiavitù: con la scusa di colonizzarli e cristianizzarli, gli autoctoni venivano affidati ai nuovi proprietari terrieri che, in soldoni, li sottomettevano completamente e negli anni arrivarono a sfruttare le popolazioni precolombiane senza che nessuno avesse da ridire.

La vocazione religiosa

Colpito dal sermone di un frate domenicano, A. de Montesimos, Bartolomé de Las Casas aprì gli occhi sulla situazione che lui stesso stava contribuendo a creare e dopo la conversione e gli ordini, presi nel 1510, si impegnò per modificare la situazione. Iniziò a denunciare gli abusi perpetrati dai coloni e a difendere i diritti degli autoctoni, tenuto conto anche del fatto che nel 1500 la regina Isabella di Spagna aveva abolito la schiavitù e tentato di destituire Colombo di cui si sospettavano abusi sugli indigeni.

Questa suo acceso tentativo di modificare lo status quo lo rese inviso a molti: lui immaginava piccoli appezzamenti di terra gestiti da semplici contadini spagnoli sotto la guida dei frati, ma per i grossi proprietari questo significava il crollo di un intero sistema economico (lo stesso crollo che si verificò con la fine della schiavitù delle popolazioni schiavizzate in Africa). I suoi tentativi sfociarono in un massacro di coloni e di indigeni. Decise allora di dedicarsi principalmente alla predicazione e alla diffusione di notizie su quanto accadeva nelle Indie.

I suoi scritti

Nel 1523 divenne domenicano e negli anni a seguire compose Brevisima relación de la destruyción de las Indias, un testo non privo di errori, ma che gli valse una nuova possibilità, da parte del sovrano Carlo V, di controllare gli abusi sul territorio. Perché la sua autorità fosse maggiore fu nominato vescovo.

Le battaglie contro di lui non si fermarono e lo costrinsero a numerose requisitorie e viaggi in patria, finché ivi non si fermò e compose Apologetica e Historia de las Indias, ricche di note geografiche, storiche, politiche. La raccolta delle sue osservazioni e di molti documenti, ha fatto dei libri di de Las Casas una preziosa fonte, dato che molti testi e documenti della conquista spagnola sono andati perduti.

I testi però, scritti in forma lineare e colloquiale, mirati tutti a far emergere il buono delle popolazioni indigene, contengono diverse inesattezze. Ciò non impedì loro di diventare un forte riferimento per chi in Europa denunciava lo scempio dei nuovi territori ad opera della colonizzazione. Ispirazione per menti illuministe, fu letto e tenuto in considerazione anche da Montaigne.

Oggi la Brevissima relazione della distruzione delle Indie di Bartolomé de Las Casas è possibile consultarla nella edizione di Marsilio, il De regia potestate è invece edito da Laterza.

Alcune citazioni di Bartolomé de Las Casas

  • Ammazzavano, ardevano e facevano perire sulle graticole gli indiani, quando non li gettavano in pasto ai cani feroci: per poi opprimere, vessare e torturare i superstiti nelle miniere e con altri lavori, fino alla consumazione e all’annientamento di tutti quegli sciagurati innocenti. V’erano in San Juan e alla Jamaica più di seicentomila anime, forse più di un milione, e non sono rimaste oggi nemmeno duecento persone per isola.
  • Dare indigeni agli spagnoli è come mettere il sale nell’acqua, viene subito distrutto.
  • Fare adorare la croce a dei pagani senza dare loro una spiegazione del suo significato è lo stesso che far loro adorare un idolo.
    Nessuno riuscirebbe a raccontare, nessuno riuscirebbe a credere tutti gli episodi di crudeltà che in quei luoghi sono avvenuti. Ne narrerò soltanto due o tre che ora mi sovvengono. Gli sciagurati spagnoli andavano attorno coi loro cani feroci a dar la caccia e a far divorare gli indiani, uomini o donne che fossero. Un’indiana malata, rendendosi conto che non sarebbe riuscita a sfuggire dai cani e che sarebbe stata sbranata come tanti altri, si legò a un piedi un suo bambinello d’un anno e s’impiccò a un trave. Ma non fu abbastanza lesta a farlo ché in un baleno giunsero i feroci animali e l’infante fu dilaniato: un frate fece appena in tempo a battezzarlo prima che esalasse l’ultimo respiro.
  • Non è un dolore da poco constatare come questi inca, pagani e idolatri, abbiano saputo conservare tanto ordine nel governo e la conservazione di territori così immensi, mentre noi che siamo cristiani abbiamo distrutto tanti regni, poiché dovunque sono passati i cristiani […] ne consegue che tutto va in rovina.
  • Posso affermare che l’unica ragione che mi ha spinto a scrivere questo libro [Historia de las Indias, ndr], è il grande, estremo bisogno di informazioni esatte e di completa chiarezza per quanto riguarda il Nuovo Mondo […] So di persone che, in mancanza di esperienza dal vivo, hanno scritto su queste Indie quello che hanno vagamente sentito dire […] Essi hanno seminato il seme sterile, selvatico e infruttuoso dei loro pregiudizi umani e temporali. Di conseguenza in un gran numero, una moltitudine di altre persone è germogliata e si è sviluppata la gramigna mortale di una scienza scandalosa ed erronea e di una coscienza perversa, al punto che la stessa fede cattolica e le antiche consuetudini cristiane della Chiesa universale hanno subito, insieme alla maggior parte del genere umano, un danno irreparabile.
  • Quel signore, dopo aver un poco pensato, domandò al frate se in cielo andavano anche i cristiani. Il francescano gli disse che sì, certo, quelli buoni vi andavano. Rispose subito il cacicco, senza più esitare, ch’egli non voleva andarci, che voleva andare piuttosto all’inferno che ritrovarsi con coloro e vedere ancora gente tanto trista e crudele. Tali sono la fama e l’onore che han guadagnato Dio e la nostra santa fede grazie ai cristiani nelle Indie.

Testo a cura di Mariantonietta Barbara
Foto | Anonymous [Public domain], via Wikimedia Commons

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