Oggi mi occupo di un argomento di quelli che ti fanno gonfiare le penne, perché si tratta di una questione che riguarda anche le mie origini, essendo nata, cresciuta e tuttora abitante a Roma. SPQR, che significa?
Sfido anche alcuni dei miei concittadini a conoscere la storia e l’evoluzione che nel tempo ha avuto questa sigla risalente addirittura al periodo della Repubblica nell’antica Roma, quindi ho deciso di approfondire un po’. Vediamo cosa ho scoperto…
SPQR: ma è davvero romana de Roma?
Sul significato del celebre acronimo circolano le ipotesi più disparate, una delle quali – poco più che una leggenda – addirittura la attribuirebbe al popolo della Sabina che in questo modo decantava la propria potenza: Sabinis Populis Quis Resistet(?) cioè Chi potrà resistere al popolo sabino? Un tirarsela che ai Romani è piaciuto poco, tanto è vero che quando li hanno distrutti hanno “rubato” la sigla riscrivendola a uso e consumo dell’affermazione solenne della propria superiorità.
Le ipotesi più accreditate, invece, risalenti all’opera Le vite degli imperatori da Giulio Cesare a Federico Barbarossa dello storico umanista Bernardino Corio, sono due. La più probabile riferisce come scioglimento della sigla: Senatus PopulusQue Romanus cioè Il Senato e il popolo romano, soluzione che racchiude le due figure che rappresentano il potere della Repubblica romana – appunto – il Senato e il popolo, intendendo con esso sia i patrizi che i plebei, ovvero le due classi su cui si fondava l’intero Stato.
Un’altra ipotesi invece scioglie l’acronimo così: Senatus Populusque Quiritium Romanorum, ovvero Il Senato e il popolo dei quiriti romani, cioè come i romani chiamavano se stessi riferendosi ai cittadini che godevano di pieni diritti civili, politici e anche militari. Questa seconda ipotesi è accreditata anche dal prestigioso dizionario Castiglioni-Mariotti. La disputa tra le varie opzioni, in pratica, si gioca tutta sulla declinazione della R, che sia Romanus (nominativo perché aggettivo), Romani (genitivo), Romae (genitivo anche qui) oppure Romanorum (genitivo plurale).
Dove (e quando) si può leggere la famosa iscrizione
Com’è o come non è, l’iscrizione SPQR. si presentava con lettere d’oro in campo rosso (per questo tali sono ancora oggi i colori del Comune di Roma) in cui l’oro rappresentava il giallo del sole che conferisce lume e potenza; mentre il rosso è il colore di Marte, dio della battaglia che dona a chi lo segue la vittoria.
Presente in tutte le iscrizioni ufficiali romane per sancire il volere dello Stato, non poteva non trovarsi sul monumentale trofeo di Augusto, ad esempio, ma anche sul Palazzo Senatorio in piazza del Campidoglio, sull’Arco di Tito, simbolo di trionfo dell’epoca flavia e addirittura sui tombini che si possono osservare in giro per le strade della città. Segno che la nostra potenza sia finita nelle fogne? Mah!
Fuori porta, invece, troviamo un SPQR perfino a Milano, nella Galleria Vittorio Emanuele II, in un particolare del pavimento maiolicato, dove la scritta è accompagnata dall’immancabile lupa. L’acronimo, tra l’altro, fu utilizzato ben oltre il 476 d.C., anno della Caduta dell’Impero romano di Occidente che segna la fine del governo, anche solo simbolico, della città. In realtà per tutto l’Alto Medioevo l’Urbe, seppur in declino, continuò a essere la città più popolosa d’occidente e a funzionare come capitale formale del rinnovato impero di Carlo Magno.
Altri SPQ…
A un certo punto, poi, si iniziò a usare l’acronimo SPQ seguito dall’iniziale della propria città per simboleggiare la raggiunta autonomia comunale, in genere più o meno benevolmente concessa dal regnante di riferimento. È così che nell’intero Lazio (intorno a Roma quindi) possono fregiarsene Albano Laziale, Alatri o Anagni. Facendo un po’ più di strada, su e giù per la penisola troviamo sigle analoghe a Foligno, Ascoli Piceno, Capua, Reggio Emilia e Calabria, Rieti, Molfetta, Messina, Modica e Catania, ma ne citiamo solo alcune. Perfino all’estero è arrivata! Tra le altre ricordiamo Bruxelles e Bruges in Belgio; Olomuc nella Repubblica Ceca.
SPQR tra frizzi e lazzi
E veniamo ora a storpiature e trovate comiche che nel tempo hanno ispirato non poco i fautori della risata di tutte le epoche, alcuni più, altri assai meno illustri.
Nel Medioevo, non si sa se per ridere o proprio per interpretazioni sbagliate, all’acronimo furono attribuiti i significati più disparati, alcuni dei quali fanno proprio sorridere. È il caso di Stultus Populus Quaerit Romam, Un popolo stolto ama Roma, che a sua volta sembra essere una parodia dell’erroneamente diffuso Sapiens Populus Quaerit Romam, Un popolo saggio ama Roma. Addirittura se ne trova una versione in cui la S si scioglie come senex, ossia vecchio.
Ci sono poi le varianti finte ironiche o apertamente polemiche, con l’instaurarsi del potere temporale dei Pontefici: ecco allora Salus Papae Quies Regni, Salvezza del Papa, tranquillità del Regno; Sanctus Petrus Quiescit Romae, San Pietro riposa a Roma; Salve Populus Quintinii Regi, Salute al popolo di re Quinto.
Gli sberleffi alla Chiesa proseguono anche in epoche più recenti e in ambienti più colti. In un sonetto di Giuseppe Gioacchino Belli leggiamo SPQR. come Solo Preti Qui Regneno. A proposito di facili ironie, nel fumetto di Asterix, a Obelix spesso si fa esclamare Sono pazzi questi romani, esternazione ripresa, poi, dal film comico di Massimo Boldi – intitolato proprio SPQR – e corretta in Sono porci questi romani, in seguito tristemente fatta sua più e più volte dal politico Umberto Bossi, ma questa diciamo che è un’altra storia, inoltre poco interessante.
Invece è divertente segnalare che SPQR è stato anche un fumetto pubblicato sulla testata Il Giornalino e il nome di una tv privata – ovviamente romana – degli anni Settanta.
Foto | Di User Lamré on sv.wikipedia [GFDL o CC-BY-SA-3.0], attraverso Wikimedia Commons
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