Un pallido orizzonte di colline

Kazuo Ishiguro racconta un pallido orizzonte di colline

Ho ricevuto in regalo un romanzo e una raccolta di cinque racconti dello scrittore Kazuo Ishiguro, nato in Giappone nel ’54, trasferitosi in Inghilterra a soli sei anni e Premio Nobel per la Letteratura 2017. Oggi vi parlo del romanzo Un pallido orizzonte di colline, che ho letto tutto d’un fiato.

Un pallido orizzonte di colline

La protagonista è Etsuko, una vedova giapponese, che si è trasferita in Inghilterra. Vive da sola. Nei giorni in cui la sua giovane figlia Niki le fa visita, si lascia andare ai ricordi della vita in Giappone, quando in una Nagasaki segnata dalla guerra e dalla bomba, portava avanti il matrimonio e una gravidanza.

In questo movimento tra il presente e il passato prende corpo anche una seconda storia, quella di Shashiko e di sua figlia Mariko, conosciute quasi per caso. Mentre Etsuko cerca di concentrarsi sulle necessità del marito e del suocero, Shashiko si destreggia tra lavori precari e il sogno di una fuga in America, abbandonando la figlia a se stessa.

A mano a mano che la storia si svolge, il lettore scopre, sorprendendosi, sempre più dettagli sulla vita di Etsuko. Colpi di scena che però non si presentano come tali, ma si intrufolano con naturalezza nella narrazione perché sono i personaggi stessi a viverla in questo modo.

Il racconto della sua vita si snoda in modo lieve, quasi etereo. Le molte conversazioni sembrano sospese, prive di corpo. La protagonista e i personaggi non dialogano mai realmente, impegnati come sono a tenere in piedi ciascuno il proprio mondo. L’unico rapporto che sembra basato su una certa reciprocità d’affetto è quello tra Etsuko e suo suocero, Ogata-San, che fatica ad accettare i cambiamenti culturali in corso:

Disciplina e lealtà, ecco ciò che teneva unito il Giappone. Ti sembrerò un sognatore, ma è vero. La gente era legata dal senso del dovere. Verso la famiglia, verso i superiori, verso il Paese. Adesso invece non si fa che parlare di democrazia. Senti tirare fuori questa parola ogni volta che qualcuno vuole comportarsi in modo egoistico, ogni volta che qualcuno vuole dimenticare i suoi doveri.

Le mie impressioni sul romanzo di Ishiguro

L’atmosfera che si respira in Un pallido orizzonte di colline mi ha rimandato a Il deserto dei Tartari di Dino Buzzati. Si avvertono precarietà e un pericolo costante nella quotidianità in cui ci imbattiamo. Si ha l’impressione che stia per succedere qualcosa, ma nulla di ciò che avviene (perché in questo caso alcuni cambiamenti importanti sono presenti) sembra scalfire il procedere delle esistenze narrate.

La scrittura di Ishiguro, leggera, stringata, pulita, come un fiume tranquillo, appena increspato, porta il lettore verso un dirupo, senza che se ne accorga se non quando è troppo tardi. Lo scrittore riesce a rendere attraverso semplici dialoghi la distanza incolmabile tra le persone, il vuoto dietro le frasi di circostanza, l’impossibilità di andare oltre un tentativo di contatto con un altro essere umano. Perché quasi è impossibile entrare in contatto con se stessi.

Per quanto mi riguarda, Ishiguro è uno di quegli scrittori di cui leggere l’intera opera: ogni libro si presenta diverso dal precedente; è impossibile prevedere gli sviluppi della narrazione, tantomeno annoiarsi; lo stile è piano e accattivante; non c’è traccia di banalità nonostante le situazioni narrate siano spesso legate alla quotidianità.

Il libro

Kazuo Ishiguro
Un pallido orizzonte di colline
traduzione di Gaspare Bona
Einaudi, 2009

Recensione a cura di Mariantonietta Barbara

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