Per le edizioni Kolibris di Ferrara, l’unico editore con il quale Francesco Benozzo ha pubblicato e continua a pubblicare opere in versi (Onirico geologico nel 2014, Felci in rivolta / Ferns in Revolt nel 2015, La capanna del naufrago / The Castaway’s Hut nel 2017, Poema dal limite del mondo / Poem from the Edge of the World e Stóra Dímun. Poema camminato / A Walking Poem entrambi nel 2019) è ora in stampa, con uscita annunciata ai primi di giugno 2020, la pubblicazione del Máelvarstal. Poema della creazione dei mondi.
Máelvarstal
Come ha precisato l’autore in un’intervista dello scorso anno,
«si tratta di un poema cosmogonico, un canto mitologico sulla creazione dei mondi. È anche una posizione chiara che ho voluto prendere rispetto alle scritture romanzesche, alle loro sbadiglianti polifonie, che anche nei casi più luminosi restano fatalmente lontane dalla parola poetica, per la semplice ragione che si rivelano alla fine delle semplici varianti di una modalità. Dopo molti anni in cui ho messo in pratica l’oralità sia come procedura di composizione che come resa performativa, e dopo avere composto gli ultimi cinque poemi epici nella più concreta e meno menzognera fisicità dei crinali e dei paesaggi, ho sentito che è adesso quantomai fondamentale che, in quanto poeta del mondo contemporaneo, io mi metta in gioco come creatore di miti. L’alternativa è quella, metaletteraria, di limitarsi a parlare dei poeti come creatori di miti, della letteratura come possibilità dell’immaginario, della scrittura come resistenza sociale e antropologica. Discussioni che spesso restano impigliate nella rete globale e nell’agnizione appagante di piccoli branchi che condividono alcune idee di per sé anche buone. L’astrofisica degli ultimi 30 anni offre possibilità poetiche che sarebbe folle ignorare. Almeno per la concezione che ho io della parola poetica. Il Maelvarstal è per me il canto mitologico che spazza via ciò che ho fatto fino ad ora, perché incarna probabilmente il testo verso cui mi sono sempre mosso da quando ho scelto la poesia come unico linguaggio possibile»
La struttura del poema
Il poema è composto da 420 versi divisi in 33 strofe e narra i 14 miliardi di storia dell’universo noto appoggiandosi alle più recenti sintesi cosmologiche, quelle comparse dopo l’ipotesi del Big Bang. L’intreccio di cosmologia fisica e cosmogonia mitologica è costantemente mantenuto in un equilibrio che sembra non volersi mai risolvere, come appare evidente in versi come questi:
[…] Affamati, mistici, denudati
nel vitreo fluire e nel fluire vitreo
nel plenilunio di adroni e subadroni
il coleottero della densità
e il pesce-drago della gravità
scalfirono il riverbero del vuoto
sanguinando corpuscoli nel gelo […] […] ionizzazione, dispersione, accumuli
in sequenza, in attesa, in radiazione
ammassi globulari, evoluzione
collassi di equilibrio e di squilibrio
mascelle e code, draghi deflagranti
dimenantisi in scie di risonanze,
polarizzanti, catalizzatori
macchie bluastre appostate nell’oblio
tra fluorescenze in transito nel Dóniard […]
Benozzo – tra le cui fonti poetiche ci sono i poemi delle tradizioni orali di varie aree (dai cantori serbi ai narratori groelandesi e australiani), testi antichi come il poema accadico Enûma Eliš del XII secolo a.C., i bardi gallesi del VI secolo, l’epica medievale romanza e germanica, ma anche autori e poeti della modernità (da Melville a Whitman, da Derek Walcott a Czesław Miłosz) – tenta qui ciò che non è mai stato tentato da nessuna tradizione in versi: una narrazione dell’imprendibile caos di materia-energia e spazio-tempo. Una narrazione “aperta”, che non si chiude mai, che assume una struttura a spirale, quasi elicoidale, e con momenti di sospensione e dubbio sulla natura stessa della propria materia:
[…] In quegli estuari di materia dinamica
era affiorata un’ombra ambigua e nuova
come il dubbio che l’intero Retalmárnor
non fosse che il ricordo di altri regni
sopravvissuto come forma simbiotica
come una secondaria gemmazione
non necessaria, inutile, seriale […],
o momenti di inquietudine e malinconia:
[…] La nostalgia segreta e indecifrabile
posò l’eco struggente della ferita
anche nell’altra goccia ancora in bilico
che tuttavia restò sillaba muta
come in attesa di una nuova cicatrice […].
Máelvarstal, un fiume di versi
Il Máelvarstal, che come gli altri lavori di Benozzo esce con una traduzione inglese a fronte del poeta canadese Gray Sutherland, è un fiume di versi che avvolge e trascina dentro un ritmo incantatorio e a volte spiazzante. Se progressivamente, dalle mimesi sciamaniche di Onirico Geologico ai suoi ultimi lavori, questo poeta ci aveva abituati all’abbandono dell’uomo e a una visione di sole terre e di pura geologia poetica (un aspetto fortemente sottolineato dagli autori che si sono occupati della sua opera), qui il passo diventa definitivo: l’orizzonte non è più nemmeno quello terrestre (la storia del nostro pianeta è del tutto ignorata nel testo).
In questo senso, mi pare che questa sia anche la risposta di Benozzo (una risposta netta e perentoria, come la sua scrittura) alla vena antropocenica sempre più seguita anche dagli scrittori, colpevolmente allineati – secondo lui – a quella che altrove ha definito «l’ossessione del cambiamento climatico»: si veda l’articolo Poeti che fanno i profeti. Il delirio antropocenico e i millenarismi della post-estinzione, su «Zona letteraria», 4, 2020), come se egli avesse scelto consapevolmente di raccontare ciò che è prima di ogni possibile Antropocene perché è addirittura prima della nascita dell’uomo e del pianeta stesso.
Nel Máelvarstal ogni orizzonte scompare. Le parole sono interne agli elementi, addirittura parte di essi. Come se le sillabe dell’intero poema fossero state generate dalla stessa materia-energia che generò la prima incrinatura quantistica 14 miliardi di anni fa, nel primo centimiliardesimo di yoctosecondo.
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