Ci sono scrittori che riescono a farci riflettere anche sull’apparente semplicità della quotidianità: come, per esempio, il potere che hanno le parole. Uno di questi autori è Navarre Scott Momaday, forse poco noto in Italia. Con lui possiamo riflettere sul potere della parola.
Chi è Navarre Scott Momaday
Momaday è nato nel 1934 ed è originario della tribù dei Kiowa; da parte di madre è Cherokee. Viene considerato il fondatore del Rinascimento Nativo Americano. Nel suo stile è forte la componente orale nativa (che risente dell’influenza del padre, un cantastorie molto apprezzato nella tribù Kiowa), così come il contrasto fra modernità e tradizione. Momaday è solito affermare: “Sono indiano e credo di essere fortunato ad avere una simile origine”.
Navarre Scott Momaday ha pubblicato tredici libri fra romanzi, poesie, saggi e lavori sulla cultura Nativa Americana. Con Casa fatta di alba (pubblicato in Italia da Guanda), ha vinto il premio Pulitzer nel 1969.
Il potere della parola
Nella raccolta Scritti e racconti degli Indiani americani (a cura di Shirley Hill Witt e Stan Steiner) c’è un bell’apologo di Momaday che parla del potere della parola. Il testo è presto dal libro Il viaggio a Rainy Mountain (pubblicato in Italia dall’editore Salamandra nel 1988 ma a oggi di difficile reperibilità) in cui Momaday cerca di porre la letteratura tribale nella prospettiva della storia.
Una leggenda tribale
A un primo stadio della presentazione Momaday ci racconta la leggenda tribale, così come è:
Ora avvenne che ciascuno dei gemelli possedeva un anello e la nonna ragno disse loro di non gettare mai gli anelli nel cielo. Ma, un giorno, essi li gettarono su nel vento forte.
Gli anelli rotolarono sopra una collina e caddero giù nella bocca di una caverna. Qui vivevano un gigante e sua moglie. Il gigante in passato aveva ucciso molte persone accendendo fuochi e riempiendo la caverna di fumo, in modo che non potessero respirare.
In quel momento i gemelli ricordarono qualcosa che la nonna ragno aveva loro detto: “Se mai foste catturati nella caverna, dite tra voi la parola thain-mom, sopra i miei occhi”.
Quando il gigante cominciò a preparare i fuochi, i gemelli ripeterono più volte tra loro la parola thain-mom; e il fumo rimase sopra i loro occhi. Dopo che il gigante ebbe fatto tre grandi nubi di fumo, sua moglie vide che i gemelli stavano lì seduti senza tossire o piangere, e cominciò a spaventarsi.
“Lasciali andare” – disse – “o ci accadrà qualche guaio”. I gemelli raccattarono i loro anelli e ritornarono dalla nonna ragno. Ella fu felice di vederli.
Un nuovo livello di lettura
A un secondo livello, l’autore sottolinea il significato filosofico del testo:
Una parola ha forza in sé e per sé. Si trasforma dal nulla in suono e significato; dà origine a tutte le cose. Per mezzo delle parole un uomo entra in sintonia di significati con il mondo. E il mondo è sacro. Il nome di un uomo è suo proprio; egli può tenerselo o darlo via come gli piace. Fino a tempi recenti i Kiowas non avrebbero mai pronunciato il nome di un uomo morto. Fare ciò sarebbe stato irriverente e disonesto. I morti portano i loro nomi con sé fuori dal mondo.
Ancora più a fondo
Infine, nel terzo e ultimo aspetto dell’esposizione, Momaday ci presenta il punto di vista della sua esperienza personale.
Quando Aho vedeva, udiva o imparava qualche cosa cattiva diceva la parola zei-dl-bei, “spaventevole”. Era la parola con la quale ella confrontava il male e l’incomprensibile.
Mi piaceva che lo dicesse, poiché torceva il viso in una straordinaria espressione di corruccio e faceva schioccare la lingua.
Non era, penso, tanto una esclamazione, quanto un cercare di sottrarsi, uno sforzo del linguaggio sull’ignoranza e la confusione.
L’importanza di saper dosare il potere della parola
Un invito, dunque, alle amiche e agli amici che scrivono: voi che siete professionisti della parola, cercate di servirvene perché sia uno strumento di salvezza, come nell’apologo narrato da Momaday.
Concludiamo con una frase dal libro Italiano. Appunti e disappunti di Natale Fioretto:
Quando, scrivendo, cerchiamo di animare la pagina bianca, teniamo a mente l’espressione limite “bambini in situazione scolastica” e votiamoci alla chiarezza e all’immediatezza.
Tempo fa, l’allora ministro Franco Bassanini ha notato che “il linguaggio astruso è uno strumento di potere per mantenere il cittadino in stato di inferiorità”.
L’oscurità è Potere.
Rendere incomprensibile una frase è affermare il proprio Potere…
Foto | olly18 via Depositphotos
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