De brevitate vitae

La brevità della vita: il De brevitate vitae di Seneca

Il trattato filosofico De brevitate vitae – in italiano La brevità della vita – è il decimo dei Dialoghi di Lucio Anneo Seneca.

L’autore lo scrisse verosimilmente agli inizi del 50 d.C., di ritorno dall’esilio in Corsica protrattosi per otto, lunghi anni. Inizialmente era stato addirittura condannato a morte, perché coinvolto in uno scandalo sessuale con la nipote dell’imperatore Claudio, ma poi la pena era stata commutata in esilio, grazie all’intervento provvidenziale di Agrippina, seconda moglie di Claudio e madre del futuro imperatore Nerone.

Ed è proprio di Nerone che diverrà tutore e precettore Seneca, che si troverà perfino a esercitare la reggenza dell’Impero assieme ad Agrippina per cinque anni.

La scrittura del De brevitate vitae scaturisce dunque al culmine di un periodo non facile per il filosofo, forzatamente lontano dalla politica attiva e allo stesso tempo, forse proprio a causa del lungo intervallo, fortemente a disagio per la ripresa della vita sociale.

È tra l’altro proprio quest’ultima dimensione – gli officia, ossia gli obblighi sociali – a essere oggetto di una critica tanto serrata e spietata, quanto sarcastica.

De brevitate vitae: analisi

«Il maggior ostacolo al vivere è l’attesa: tutta rivolta al domani, non fa che perdere l’oggi».

Sono vite sprecate quelle consumate da alcune tipiche figure di cittadino romano in attività frenetiche e fin troppo impegnate, ma in definitiva inutili e dannose, almeno dal punto di vista di Seneca.

Il filosofo in quest’opera indossa le vesti del censore dei costumi decadenti di un’intera comunità, quella romana, colpevole di perdere tempo in attività sfiancanti ma inutili. Di più, dannose, perché massima aspirazione dell’uomo dovrebbe essere il miglioramento di sé, non conseguibile a detta di Seneca se non abbandonando senza rimpianti:

  • gli impegni istituzionali della vita pubblica, ossia i negotia (le cariche pubbliche);
  • gli officia, ossia i noiosi, talora ipocriti e in ogni caso sterili obblighi sociali;
  • gli oblectamenta, cioè gli svaghi e i divertimenti dissennati.

La vita è davvero breve?

La cosiddetta, deprecabile vita breve viene in sostanza identificata da Seneca nel vivere quotidiano della capitale dell’Impero, considerato sia sul versante politico che su quello sociale.

In altre parole, spiega il filosofo, non è che la vita sia da considerarsi breve di per sé. Lo diventa se sprecata in attività futili o indegne di noi, cause immediate della dissipazione della vita stessa. Parimenti è da rifuggire un approccio troppo materialistico alla vita: bisogna distaccarsi dai beni materiali e perseguire invece la sobrietà.

Se invece ci lasceremo dominare da questi tipi di condotta, il nostro stato d’animo ne risentirà e saremo preda dei rimpianti, del disappunto, della peggiore depressione. La vita ci sembrerà vuota e insensata: in una parola, breve.

È un’opera ancora attuale il De brevitate vitae?

A prescindere dall’importanza rivestita da Seneca nell’ambito dello stoicismo romano, il pensiero del grande filosofo mantiene pressoché intatto il suo valore ancora oggi.

In particolare, la lettura de La brevità della vita può essere di grande conforto specie per chi si trovi a fronteggiare un periodo di crisi esistenziale, quando, magari per motivi anagrafici, lavorativi o sentimentali ci si trovi a mettere in dubbio il nostro operato, i stessi nostri valori.

Inoltre il caos che affliggeva gli abitanti della capitale dell’Impero, prima vera metropoli dell’antichità, non è poi così differente da quello che viviamo noi oggi nelle nostre città, per giunta oppressi dagli ulteriori problemi connaturati alla vita moderna.

Certo, se è vero che l’analisi dei vari tipi umani compiuta da Seneca – soggetti talmente presi dal vortice dei propri impegni da smarrire la propria identità – risulta oggi più che mai attuale, in questi tempi tanto frenetici quanto dissennati, dobbiamo anche ammettere che non sempre appaiono praticabili le soluzioni proposte dall’illustre precettore di Nerone.

Come sfuggire alla brevità della vita?

La linea di condotta suggerita da Seneca all’amico Pompeo Paolino, destinatario del saggio, prefetto dell’annona, nonché padre della giovane moglie, non sembra facilmente applicabile alla nostra società: ben pochi, temiamo potrebbero abbandonare la vita attiva, sia pure faticosa, a volte anche frustrante e avvilente, per potersi placidamente ritirare a vita privata.

Certo, tale condizione di vita sarebbe l’ideale per poter intraprendere quel processo di crescita interiore che lo stoico Seneca indica quale supremo obiettivo finale, cui tutti dovremmo almeno aspirare.

Ma come conciliare questa, in teoria certamente auspicabile, dimensione con le tipiche necessità lavorative, familiari e di sussistenza alle quali non possiamo però sottrarci, a meno di non ricevere in dono inaspettate, cospicue vincite o eredità?

Seneca, personaggio affascinante ma contraddittorio

Gli insegnamenti filosofico-morali che ci ha lasciato Seneca, non solo ne La brevità della vita sono d’indubbio valore: l’importanza della virtù, dell’onestà, la necessarietà della giustizia, la moderazione nelle condotte pubbliche e private, la ricerca della serenità, la sobrietà… Eppure, a ben vedere, il comportamento di Seneca, che, lo ricordiamo, oltre che filosofo, fu drammaturgo, senatore e questore, in diversi momenti della sua vita appare in stridente contrasto con quanto sostenuto nei suoi scritti.

Pensiamo, tanto per cominciare, al già ricordato episodio dello scandalo di natura sessuale che lo portò quasi alla pena capitale.

In seguito, durante il quinquennio che vide Seneca al governo dell’Impero assieme alla madre del giovanissimo futuro Imperatore, la condotta del grande intellettuale non appare adamantina. La sua amministrazione poté sì definirsi “moderata e illuminata”, e tuttavia in quel lasso di tempo furono commessi diversi omicidi “di Stato”, ai quali forse non fu del tutto estraneo.

Anche sul fronte della predicata ricerca della moderazione e della sobrietà, Seneca si mostra contraddittorio, avendo egli accumulato nel corso della sua lunga carriera ingentissime ricchezze personali.

La Storia però in un certo senso gli offrirà una sia pur forzata e tragica occasione di riscatto, quando, costretto da Nerone al suicidio perché sospettato di aver partecipato a una congiura contro l’Imperatore, Seneca sarà costretto a togliersi la vita, in perfetta aderenza al modus operandi e allo stile stoico, recidendosi le vene.

Foto | Gordon Johnson da Pixabay

Luigi Milani

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