La gru è l'animale al centro della novella Chichibio

Riassunto di Chichibio, novella del Decameron

Chichibio è la quarta novella della sesta giornata del Decameron di Giovanni Boccaccio, incentrata sulla capacità che una risposta arguta, talvolta, può avere nel trarre d’impaccio il suo autore.

Riassunto della novella Chichibio

Neifile racconta alla brigata la storia di un giovane cuoco, Chichibio appunto, al quale il padrone Currado Gianfigliazzi ha portato una gru cacciata il giorno prima perché la cucini e gliela serva per cena.

Essendo la preda particolarmente grassa e tenera, si sparge nell’aria un delizioso profumo che attira Brunetta, la giovane fanciulla che aveva fatto innamorare Chichibio. Vedendo il succulento piatto, la ragazza supplica il cuoco di regalarle almeno una coscia e non tarda a convincerlo, forte del debole che Chichibio nutre per lei.

All’ora di cena, vedendosi servire una gru mutila, Currado manda però a chiamare il ragazzo chiedendo ragioni e trattiene a stento la propria ira. Spavaldo, Chichibio si difende sostenendo che da sempre le gru hanno una sola gamba, e si dice addirittura pronto a dimostrarlo qualora Currado ne voglia prova. La speranza del cuoco è che il padrone se ne dimentichi e che l’indomani tutto torni alla normalità, ma sventuratamente Currado è fermo nella sua posizione e la mattina seguente trascina il giovane per campi, chiedendogli conto della sua teoria.

Ecco allora Chichibio indicare un gruppo di gru a riposo su una zampa sola vicino la riva di un fiume: «Assai bene potete, messer, vedere che iersera vi dissi il vero, che le gru non hanno se non una coscia e un piè, se voi riguardate a quelle che colà stanno».

Ma Currado, affatto stolido, si affretta a gridare spaventando gli animali, che fuggono in volo dopo aver appoggiato a terra anche la seconda zampa, e li mostra trionfante al compagno. Per tutta risposta, dando mostra di sincero stupore, il cuoco ribatte: «Messer sì, ma voi non gridaste “Ho ho” a quella di iersera; ché se così gridato aveste, ella avrebbe così l’altra coscia e l’altro piè fuor mandata, come hanno fatto queste», e di fronte a una risposta tanto arguta e ingenua Currado non può far altro che lasciarsi andare a una sana risata, convenendo con il servitore e dimenticando la sua arrabbiatura.

Analisi della novella

Leggendo questa novella sorprende la brevità del racconto rispetto a quelli delle altre giornate. Non è un elemento casuale: la lunghezza ridotta concorre a focalizzare tutta l’attenzione sull’icastica battuta che svolge l’intreccio e non permette che la concentrazione devii su dettagli secondari o accessori. La narrazione in questa novella – in questa giornata – è davvero stringata ed essenziale per dare pieno risalto ai “motti di spirito”, battute che non hanno tuttavia come unico scopo il divertimento del lettore, ma sono in grado, seppur per un istante e solo effimeramente, di annullare il divario sociale tra padrone e servitore.

La sagacia sposta il metro di giudizio dallo status economico alla prontezza di spirito, all’intelligenza, che non dipende da fattori economici o civili ma, in ottica boccaccesca, dall’incerto miscuglio di virtù e fortuna che può riguardare qualunque ceto sociale.

L’universalità di questo principio è tale da coinvolgere addirittura il gentil sesso: il racconto è una climax ascendente che raggiunge il culmine nella battuta finale di Chichibio, ma ad essere interessante è anche lo scambio tra il cuoco e Brunetta.

La risposta della fanciulla, «In fè di Dio, se tu non la mi dai, tu non avrai mai da me cosa che ti piaccia», sorprende tanto il lettore (entro certi limiti: il pubblico del Decameron è abituato ad allusioni sessuali e doppi sensi) quanto il destinatario, che cambia idea e si convince a regalarle il cosciotto.

Ancora una volta, Boccaccio sottolinea il suo attaccamento a un mondo variopinto, lontano dalle convenzioni sociali, dipinto attraverso personaggi mai scontati: in questo caso una donna e un servitore, altrove commercianti, bottegai, adultere e quant’altro.

Testo a cura di Anna Clara Basilicò
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