Władysław Stanisław Reymont

Alla scoperta di Władysław Stanisław Reymont, Nobel per la letteratura nel 1924

Władysław Stanisław Reymont (1867-1925), premio Nobel per la letteratura nel 1924, non vanta, a differenza di tanti altri colleghi, esclusivi titoli accademici o diplomi ottenuti presso prestigiose scuole secondarie, ma un semplicissimo attestato di sarto. Una professione che a dire il vero non esercitò mai, ma che il padre, organista di Tuszyn, aveva caparbiamente scelto per lui.

Tuttavia a Varsavia, dove il giovane Władysław Stanisław Reymont si era trasferito per studiare taglio e cucito, scoprì la sua grande passione per la recitazione e il teatro. Entrò così ancora giovanissimo a far parte di una compagnia teatrale itinerante. Un gruppo di attori che girò per tutta la Polonia. Ma, ahimè, il talento del futuro premio Nobel era, a giudicare almeno dalle testimonianze dei suoi contemporanei, piuttosto contenuto, se non addirittura scarso.

Iniziarono allora i viaggi all’estero, i soggiorni a Londra e a Parigi, dove lavorò anche come medium di uno spiritista tedesco. Una vita mossa, inquieta, a tratti avventurosa che finì quando Reymont decise di rientrare in patria. Fu qui che iniziò a pubblicare i suoi primi racconti. A mietere i primi successi letterari.

Gli scritti di Władysław Stanisław Reymont

La sua vena realistica, il suo occhio acuto lo portarono a raccontare la vita di tutti giorni, a mettere nero su bianco, primo tra gli scrittori polacchi, l’esistenza di personaggi spesso umili. Alle prese con l’aspra quotidianità.

Un realismo che diede la sua prova più convincente in due romanzi di grande successo. Prima con La terra promessa del 1898, poi alcuni anni dopo con I contadini che, per molti, rimane il suo indiscusso capolavoro e che gli valse il Nobel per la letteratura.

Un’opera di largo respiro che mette in primo piano la vita agreste e dove il dialetto fa spesso capolino non solo nei dialoghi, ma nella narrazione stessa, dando così il la a un vero e proprio linguaggio universale polacco. Un libro tradotto in ventisette lingue e adattato per il gran schermo per ben due volte, prima da E. Modzelewski nel 1922, poi da J. Rybkowski nel 1973.

Un successo che ha superato dunque brillantemente un banco di prova temibilissimo come quello rappresentato dallo scorrere (spesso spietato) del tempo.

Foto | Jacek Malczewski [Public domain], attraverso Wikimedia Commons

Giorgio Podestà

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