Mo Yan, premio Nobel per la letteratura 2012, è uno scrittore sorprendente. L’ho conosciuto con il decisamente corposo Le sei reincarnazioni di Ximen Nao, edito da Einaudi. Mi sono avvicinata ai suoi scritti un po’ timorosa e, lo ammetto, preoccupata.
Le sei reincarnazioni di Ximen Nao
A volte dimentico che i grandi della letteratura non sono necessariamente criptici o difficili. Mo Yan non fa eccezione. Nonostante le oltre settecento pagine, infatti, le storie narrate dallo scrittore cinese, divertono, attraggono, affascinano il lettore.
Le sei reincarnazioni di Ximen Nao narra di un proprietario terriero che, ucciso durante la rivoluzione, continua a reincarnarsi nella speranza di tornare umano ed essere risarcito della morte subita ingiustamente.
In questo suo peregrinare ora nel corpo di un asino, di un toro, di un maiale, di un cane, di una scimmia e finalmente di un bambino, il protagonista assiste, nell’arco di cinquant’anni, ai cambiamenti che traghetteranno la Cina e il regime comunista da un’economia povera e rurale, chiusa in se stessa, a un’economia legata al commercio e ai rapporti internazionali.
A ogni reincarnazione il re degli inferi, Re Yama, cerca di far perdere a Ximen Nao la memoria delle sue vite precedenti, ma questo non accade mai. Accanto a nuovi impulsi e desideri, dati dal suo corpo animale, riemergono i ricordi dell’uomo Ximen Nao, dei suoi affetti, della Cina che un tempo conosceva e che svanisce a ogni rinascita.
Testardo, indipendente, scaltro e forte, Ximen Nao fa parlare di sé anche come animale e si fa sempre riconoscere dal suo nuovo padrone (una volta suo dipendente), che condivide con lui un carattere ribelle e inviso alla Comune del villaggio.
La storia del romanzo e quella della Cina
Seguendo il protagonista e la vita del villaggio, il lettore si ritrova a imparare la storia della Cina, le caratteristiche di vari animali e piante e familiarizza con alcuni leit motiv di Mo Yan come, nel caso di questo romanzo, il colore blu, che dovrebbe essere simbolo di immortalità e che ricorre non solo sui volti di due dei coprotagonisti, ma in molteplici altre occasioni.
Gli autori cinesi si distinguono per la capacità di raccontare con un’ironia leggera i periodi più sanguinosi e difficili della loro storia. Lo avevo notato leggendo Cronache di un venditore di sangue di Yu Hua e Il sogno del villaggio dei Ding di Yan Lianke. Mo Yan si rivela maestro di quest’arte, cui aggiunge una visionarietà a tratti disorientante per il lettore. Questo disorientamento, però, questo smuoverlo continuamente da un punto di vista prestabilito a cui si sta abituando è la chiave per far sì che non resti imbrigliato in una visione univoca degli eventi.
Le ragioni della rivoluzione
Raccontando l’epopea cinese attraverso piccole storie e piccole persone, Mo Yan ci costringe a sentire le ragioni di chi la rivoluzione l’ha subita, di chi l’ha voluta, di chi si è adeguato con una certa perplessità. Dopo qualche incertezza, un mondo e una cultura così distanti cominciano a sembrarci familiari e in questa familiarità cresciamo come lettori e come persone.
Piccola parentesi: mentre mi accingevo a paragonarlo ai grandi scrittori della storia, leggo, in un articolo di Roberto Russo, che
Lo stesso Mo Yan ha riconosciuto che la sua scrittura è influenzata da autori come Lev Tolstoj, William Faulkner (Nobel per la letteratura nel 1949), Gabriel García Márquez (vinse il Nobel per la letteratura nel 1982) e Italo Calvino.
Il libro
Mo Yan
Le sei reincarnazioni di Ximen Nao
traduzione di Patrizia Liberati
Einaudi, 2013
Recensione a cura di Mariantonietta Barbara
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