La locuzione latina ubi maior minor cessat è in realtà di origine sconosciuta. Si può tradurre alla lettera come “dove (vi sia) un maggiore, il minore si sottomette”. Più liberamente è “laddove vi sia qualcosa di più grande, la realtà più piccola cede il passo”, .
La locuzione Ubi maior minor cessat
Nonostante la larghissima diffusione, non è infatti possibile risalire a una fonte certa.
Secondo alcuni si potrebbe riferire all’autorevolezza di due importanti personaggi storici, Catone il Censore (234-149 a.C.) e Catone l’Uticense (95-46 a.C.). I due ebbero, per motivi diversi, grande rilievo sulla scena politica romana. Per distinguere il bisnonno e il pronipote, che portavano in realtà lo stesso nome (Marco Porcio Catone), si ricorse agli aggettivi rispettivamente Maior e Minor. Applicato ai due, il motto sembrerebbe sottendere una netta preminenza dell’avo, austero, fautore di una politica anti-ellenistica e profondamente legato al mos romano, sul discendente, pure descritto da tutta la storiografia coeva (persino da quella avversa!) come esempio di rettitudine, al punto che Dante, interpretando la sua scelta suicida come estremo atto di libertà, lo inserirà nella Commedia come guardiano del Purgatorio.
Questa interpretazione, elaborata non già in età classica ma in tempi più recenti, non risulta tuttavia particolarmente convincente. L’integrità morale dell’Uticense non sembra inficiata dall’eredità del Censore, non vi sono infatti fonti attendibili che contestualizzino questa sorta di “sottomissione”, né riletture storiche che la giustifichino.
Il contesto giuridico
Una spiegazione invece più credibile farebbe risalire la locuzione al contesto giuridico, per analogia con formule come ubi societas, ibi ius («dove vi sia una società, lì domina il diritto»), pure di origine oscura.
In questo caso, la prescrizione imporrebbe l’applicazione di norme più generali, o gerarchicamente superiori, a scapito di prassi o regolamentazioni di importanza secondaria. Si tratta, in effetti, di un’accezione ancora oggi in uso, basti pensare alla precedenza accordata alle leggi statali su quelle comunali.
Dal contesto giuridico a quello politico, sociale, filosofico etc. il passo è assai breve. Al giorno d’oggi la facilità con cui incontriamo questo motto è notevole. In generale, viene solitamente usato a indicare che, in un rapporto di forza, il minor (dal punto di vista intellettuale, fisico, economico, sportivo etc.) deve cedere il passo al maior.
Quando si usa l’espressione latina
Ubi maior minor cessat può essere invocato per creare e impostare gerarchie di valore, per giustificare un atteggiamento remissivo e ancora per constatare la propria inferiorità (di prestazioni, capacità o quant’altro) di fronte a un avversario, di cui però si riconoscono i meriti.
Non mancano poi i contesti antifrastici o eufemistici, in cui invece il ricorso all’ubi maior tende a svelare l’impossibilità di contrastare andamenti prestabiliti. L’idea che un fattore più grande debba necessariamente surclassare una ragione minore rende il detto adatto anche nelle situazioni in cui una ragione, un fine maggiore giustifichi il sacrificio di esigenze più minute o particolari.
Testo a cura di Anna Clara Basilicò
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