Canto 15 del Paradiso: l'apparizione di Cacciaguida, un avo di Dante Alighieri

Canto 15 del Paradiso: riassunto e principali figure retoriche

Il canto 15 del Paradiso della Divina Commedia di Dante Alighieri è ambientato nel cielo di Marte. In esso troviamo gli spiriti che hanno combattuto e sono morti per la fede.

Nel canto precedente Dante ci aveva già descritto il cielo e le anime che lo abitano, visualizzate come forme rosse e vivide che cantano e formano una croce greca al centro della quale si trova Cristo. Adesso in questo canto le anime non cantano perché tocca a Dante recitare la propria preghiera. Dante non rinuncia a una riflessione teologica: l’importanza dell’intercessione dei santi quando si prega.

Il canto 15 del Paradiso di Dante

All’improvviso un’anima si stacca dal gruppo e va verso Dante. Costui lo accoglie come Anchise fece con Enea nei Campi Elisi, nuovo omaggio all’Eneide di Virgilio e nuovo paragone di Dante con Enea, sottolineando l’importanza della sua missione. L’anima è quella di Cacciaguida. All’inizio la profondità delle sue parole è tale che l’intelletto di Dante non può capirlo, ma poi finalmente Cacciaguida torna a livelli più ragionevoli. Nel frattempo Dante nota che gli occhi di Beatrice sono diventati ancora più belli di prima.

Dante spiega a Cacciaguida la differenza che c’è fra lui e i beati, sottolineando ancora una volta come le capacità intellettuali dei mortali siano diverse e non siano in grado di elevarsi a livello di quelle dei beati. Solo ora Cacciaguida rivela a Dante chi lui sia e che Dante è un suo discendente. Parte poi la rievocazione della grandezza morale dell’antica Firenze. Nella parte finale del canto Cacciaguida rivela di aver avuto due fratelli, Moronto ed Eliseo. Rivela anche che si sposò con una donna dell’Alta Italia, una Aldighieri di Ferrara, da cui il nome Alighieri. Infine finisce di raccontare la storia della sua vita.

Questo canto, in realtà, è solo il primo di un trittico che ha come protagonista Cacciaguida. Gli altri due sono il 16 e il 17. Questo trittico è collocato proprio a metà della Cantica, fatto che lo eleva ad un rango importante. La parte del ricordo della Firenze antica di Cacciaguida è un pretesto per sottolineare ancora una volta la decadenza dei costumi della città.

Alcune figure retoriche

Ci sono diverse metafore nel canto 15 del Paradiso. All’inizio troviamo quella della lira. Come lo strumento musicale è accordato da Dio stesso secondo la propria volontà, così i cori dei beati che diffondono nei cieli sono in sintonia con il volere di Dio.

Ai versi 43-45 torna la metafora dell’arco per eseprime una tensione intellettuale o sentimenale. In questo senso ricorre varie volte nel Paradiso.

La metafora del “grande volume” è quella del verso 49. Essa allude alla all’immutabilità dei decreti divini. Come il bianco del foglio e il nero della parola scritta restano inalterati per esempre, così è la mente di Dio, una sorta di grande libro in cui i beati possono leggere e dove ogni cosa è stata già scritta.

«O fronda mia in che io compiacemmi / pur aspettando, io fui la tua radice». Siamo ai versi 88-89 e fronda e radice formano la metafora della pianta e l’immagine dell’albero genealogico.

Segnaliamo, infine, l’anafora dei versi 101-102 con la ripetizione di «non» («Non avea catenella, non corona, / non gonne contigiate, non cintura»).

Foto | Gustave Doré [Public domain], via Wikimedia Commons

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