Di Edna O’Brien ricorderemo le soffici volute dei suoi capelli, rossi fino alla rispettabile età di 93 anni, in cui ci ha lasciati, e la profondità del suo sguardo, tempestoso come il mare d’inverno, ma soprattutto l’intensa, a tratti disperata femminilità sua e dei personaggi immortali che ci ha lasciato in eredità.
I libri di Edna O’Brien
La poetica di Edna O’Brien contiene in sé due elementi essenziali. La donna e l’Irlanda, una figlia reietta dell’altra. Entrambe creature ribelli di quegli anni Cinquanta che videro la giovane Edna fuggire rinnegando la religione e le sue strette regole. Si sposò contro il parere familiare, si trasferì a Londra e divorziò dopo aver avuto due figli; più tardi in un’intervista si dichiarò inevitabilmente cattolica ma non osservante da tanto tempo. Per sbocciare, lontano, donna ma soprattutto scrittrice. Un fatto “imperdonabile” come le appuntò il marito dopo aver letto il suo primo romanzo, Ragazze di campagna, scritto in tre mesi nel 1960.
Ragazze di campagna
Primo di una trilogia che la consacrò cantrice dell’universo femminile, e composta da La ragazza sola e Ragazze nella felicità coniugale, il suo romanzo d’esordio, ricco di elementi autobiografici a partire dall’ambientazione, fu messo al rogo per la disinvoltura con cui raccontava la sessualità, vera o vagheggiata, delle due protagoniste, le giovani Caithleen e Baba, alla scoperta di se stesse e del mondo, in un viaggio che sa di fuga dalla provincia a Dublino, considerate all’epoca due esempi negativi per le giovani contemporanee.
La crudeltà che la vita di campagna esercitava specialmente sulle giovani donne di allora, ritorna anche nei due romanzi successivi, a volte con disperazione, altre volte con tratti umoristici irresistibili, come nel caso del racconto Bagordi irlandesi, in cui riecheggia il primo Joyce.
La signora Reinhardt e Paradiso
Ma è in altri componimenti che i temi cari ed Edna O’Brien si delineano e chiariscono. La signora Reinhardt e Paradiso, per esempio, sono storie di donne ferite dai propri mariti e dalle condizioni sociali, delle quali Edna non manca, però, di sottolineare l’esuberanza e la voglia di vivere.
Nelle sue pagine non rinuncia mai a raccontare il dolore e a spiegare la sessualità con una concretezza e una semplicità impossibili per qualunque altra scrittrice prima di lei. Il suo occhio è severo e al tempo stesso compassionevole, tanto da non essere mai entrata nelle grazie delle femministe, che la consideravano “fuori moda” perché parlava della donna attraverso le lenti d’ingrandimento dell’amore e della nostalgia.
L’Irlanda di Edna O’Brien
E poi c’è l’Irlanda, questa patria lasciata presto ma a cui si corre sempre, col pensiero e con il cuore. Un’Irlanda che non esiste più, la sua, secondo i critici suoi detrattori. Una “terra di vergogna e sacrificio” per chi era giovane come lei. Un’isola feroce, luogo fatto di luoghi, sfondo a molte delle sue opere più importanti. In particolare le campagne e i conventi che, ben lontano dall’essere posti idilliaci, si svelano presto per quello che sono. Prigioni in cui la libertà può assumere l’unica forma della fuga nella fantasia.
L’Irlanda si ritrova tra le righe anche dei cosiddetti “racconti internazionali”, come Oggetto d’amore, appartenente alla fase della maturità e uno dei più apprezzati dal grande pubblico.
È una storia d’amore ambientata nella cosmopolita Londra, in cui quasi ci si commuove davanti a una donna fatta, già divorziata e con i figli grandi in collegio, che riesce ad abbandonarsi ai palpiti del cuore come una ragazzina alle prime armi. Una fame d’amore che nella vita dell’autrice si è trasformata anche in fame di scrittura. Guai a non sentire più, dentro di sé, quel fuoco, come dichiarava in un’intervista.
Fuoco che la portò a esplorare, conThe little red chairs, raccolta di trentuno racconti in cui si chiede cosa può fare l’essere umano davanti agli orrori della violenza e della guerra, ma soprattutto qual è il ruolo di uno scrittore di fronte all’uomo, irrimediabilmente attratto dalle tenebre e dal male.
La sua eredità
Chiudiamo con le tante ispirazioni e suggestioni che Edna O’Brien ebbe nell’atto di mettersi a scrivere, e con le tante ammirazioni che ha suscitato, come quella di Philip Roth, che per commentare l’ultimo libro di lei, definito “un capolavoro”, uscì dal suo autoisolamento chiamandola “la più grande scrittrice di lingua inglese”. O quella della regina dei racconti, il premio Nobel Alice Munro, che considerava quelli di Edna O’Brien “i più belli e dolenti che siano mai stati scritti, pieni di compassione per le donne e per gli uomini”.
Quanto ai riferimenti letterari, oltre al già citato Joyce, si ritrova certamente il maestro del romanzo breve, Čechov. Ma anche Carver e Isaac Singer, che come nessun altro ha saputo rappresentare personaggi demoniaci capaci di rovinare persone e intere comunità.
Foto | By Andrew Lih (User:Fuzheado) (Own work) [CC BY-SA 3.0], via Wikimedia Commons
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