Milan Kundera

Addio a Milan Kundera, neanche lui fu “profeta in patria”

Questo è il giorno triste dell’addio a Milan Kundera, uno dei più grandi pensatori di questo secolo, di quelli sempre “contro” e sempre “on”, ma è anche il giorno dell’addio a Tomáš, a Tereza, a Sabina e a Franz, soprannominati da critici e innamorati della sua letteratura, “il quartetto di Kundera”, perché sempre più o meno presenti, nei suoi romanzi, con il loro corpo fatto di carta di pagina o solo con la mente d’inchiostro, a interrogarsi sulle infinite e così fondamentali banalità della vita.

L’insostenibile leggerezza dell’essere

Il romanzo è una meditazione sull’esistenza vista attraverso i personaggi immaginari.

Sono proprio loro, il valente chirurgo ostracizzato dal regime, la moglie fotografa, la sua amante e l’altro amante di lei, professore universitario, a costituire l’universo nel quale ruota L’insostenibile leggerezza dell’essere, il suo romanzo più famoso e probabilmente anche il suo manifesto filosofico. L’esile trama si avvolge intorno all’assunto “Einmal its keinmal”, un proverbio tedesco secondo il quale ciò che avviene una volta sola nella vita è come se non fosse mai avvenuto. Da qui l’affanno dell’essere umano e dare oppure trovare un senso anche alle piccole cose, “leggere” in realtà, ma per l’uomo intrappolato tra libertà e costrizione, in bilico tra necessità e contingenza, assolutamente insostenibili”.

Quando, però, nel 1984, il romanzo di Kundera “esplodeva” con tutte le sue prorompenti verità nelle vite dei lettori di tutto il mondo, quelli nella sua patria, quella Cecoslovacchia dalla quale il suo lavoro era stato “bandito” (cioè non più tradotto né diffuso) dopo la Primavera di Praga, e che di lì a poco si sarebbe divisa in Repubblica Ceca e Slovacchia, non potevano leggerlo, e così sarà fino al 2006, quando lo scrittore “tradito” darà finalmente il permesso di pubblicazione in lingua ceca.

Nessuno è profeta in patria, nemmeno Milan Kundera

“Nemo propheta in patria”, aveva detto Gesù – tra l’altro il più lampante esempio di questo detto – e Kundera, come molti dei grandi interpreti del proprio tempo e del proprio spazio, non fece eccezione.

Espulso due volte dal partito comunista locale, prima per averne criticato la politica culturale, poi per aver apertamente appoggiato il movimento che nel 1968 portò alla già citata Primavera di Praga, la figura del “reietto” ricorre in molte delle sue opere.

Lo è già, suo malgrado, Tomáš, medico caduto in disgrazia per un articolo che altri avevano corretto. Anche il professor Cecopitschy (tra i protagonisti di La lentezza, 1995), entomologo allontanato dall’università per le sue posizioni contrarie al regime e costretto a fare il muratore. Lo è senz’ombra di dubbio anche Ludvìk, il protagonista di Lo scherzo, romanzo d’esordio dell’autore – siamo nel 1967 – che narra la vicenda di questo giovane studente a cavallo tra gli anni Cinquanta e Sessanta, che per uno scherzo, appunto, cioè aver scritto una cartolina alla propria amata in cui si scagliava contro gli ideali sovietici dell’ottimismo e dello spirito sano, è stato condannato a due anni di servizio in miniera e poi al carcere.

Milan Kundera, l’uomo e lo scrittore

Non era un uomo facile, Kundera, appassionato e fiero, con un amore smisurato per la musica (suo padre era direttore dell’Accademia musicale di Brno nonché noto pianista) e per il teatro, tanto che mosse i suoi primi passi nella letteratura proprio con alcuni testi teatrali che pochi ricordano, per poi preferire definitivamente il romanzo e inventare, infine, quella sua forma personalissima di “romanzo-saggio” in cui la vicenda narrata è intervallata da notevoli digressioni saggistico-filosofiche.

Il riso e l’oblio

Non facile fu il suo rapporto con la patria, che nel 1979, a seguito della pubblicazione di Il riso e l’oblio, romanzo in sette parti che racconta in forma metaforica la lotta della memoria contro l’oblio che altri non è se non la lotta dell’uomo contro il potere (o almeno un certo tipo di esso, quello totalitario), gli tolse la cittadinanza (per poi ridargliela nel 2019). L’apolide Kundera divenne naturalizzato francese nel 1981 grazie al presidente Mitterand. In Francia, peraltro, lo scrittore viveva già da tempo e in francese scriveva, forse in polemica con quel suo Paese d’origine che aveva vietato di leggere i suoi libri. Della scrittura in francese sono “figli”, tra gli altri, L’identità e La festa dell’insignificanza.

L’identità

Il primo è una parabola dolceamara di un amore che si spegne e si riaccende, che racchiude in sé una riflessione profonda sul tempo che inesorabilmente passa. In una cittadina della Normandia vivono Chantal e Jean-Marc, legati in un matrimonio come tanti. Un giorno Chantal, da sempre bellissima, scopre con una sorpresa mista a disappunto che gli uomini non si girano più a guardarla al suo passaggio e inizia a immaginare di sedurli con proposte molto esplicite. Jean-Marc si accorge di questo suo dramma interiore e inizia a corteggiarla in segreto, mandandole lettere attribuite a un ammiratore sconosciuto.

La festa dell’insignificanza

Nel 2013, è uscito il romanzo che possiamo considerare il testamento spirituale di Milan Kundera. Con La festa dell’insignificanza, infatti, l’autore realizza il suo sogno: scrivere un romanzo in cui “non v’è neppure una goccia di serietà”, obiettivo finale di un’esistenza a servizio della letteratura che aveva più volte fatto emergere tra le righe e nelle parole dei suoi personaggi più amati. Per questo consideriamo questo lavoro una sintesi del tutto di Kundera, il suo epilogo con il sorriso sulle labbra, ispirato dalla comicità tragica della nostra epoca, che ha inesorabilmente e beffardamente perduto ogni senso dell’umorismo.

Foto | Di Elisa Cabot (Flickr) [CC BY-SA 2.0], attraverso Wikimedia Commons

Roberta Barbi

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