Con queste parole – e immagino con un’alzata di spalle e magari uno sputo per terra, da buon irlandese – Jonathan Swift soleva difendersi dalle critiche che ricevette, in vita, per molte delle sue opere.
“Quando un vero genio appare in questo mondo, lo si può riconoscere dal fatto che gli idioti sono tutti coalizzati contro di lui”.
Critiche che sembrano impossibili da concepire a tutti noi, bambini cresciuti fantasticando tra le pagine dei Viaggi di Gulliver, il suo capolavoro, un po’ troppo frettolosamente relegato tra gli scaffali della letteratura per l’infanzia. In effetti il romanzo – pubblicato in forma anonima nel 1726 e di immediato successo di pubblico – è portato avanti con un linguaggio evocativo e fortemente immaginifico, nonché con la forma retorica dell’allegoria.
I viaggi di Gulliver
Questa la trama. L’alter ego di Swift, tale Lemuel Gulliver, medico navale, si salva miracolosamente da un naufragio e compie un viaggio attraverso quattro isole piuttosto singolari.
Nella prima, Lilliput, trova abitanti piccolissimi, alti appena sei pollici, che lo catturano e lo portano dal re il quale, però, alla fine lo grazia e gli concede di fare ritorno a casa.
Gli abitanti della seconda isola, Brobdingnag, situata in Alaska, sono, invece, giganti alti dodici volte più di lui. Lo schiavizzano come animale domestico del re con il quale avrà illuminanti conversazioni di politica prima di essere liberato.
Gulliver approda così alla terza isola, Laputa. È abitata da scienziati, astronomi e filosofi un po’ pazzi che si dedicano ad esperimenti astrusi. La quarte e ultima isola, invece, si trova in Giappone e in essa vivono la casta dominante degli Houyhnhnms e quella subalterna degli Yahoos. I primi sono cavalli che hanno costruito una società ordinata ed efficiente; i secondi sono strani animali pieni di difetti e perciò molto simili alla razza umana. Il romanzo si conclude con Gulliver che torna in Inghilterra, ma non riesce più a vivere tra gli uomini, per i quali prova orrore come per se stesso.
Altro che libro per bambini! L’opera costituisce, in realtà, una delle più pungenti ed efficaci satire della società contemporanea a Swift, che ce l’aveva prevalentemente con l’Inghilterra. Lilliput stessa è la parodia della vecchia isola britannica, che si oppone a Blefuscu, emblema della Francia. Anche gli scienziati di Laputa rappresentano in realtà la Royal Society inglese, mentre quelli di Brobdingnag considerano gli inglesi dei «piccoli vermi odiosi».
«La satira è una sorta di specchio dove chi guarda scopre la faccia di tutti tranne la propria».
Altri libri di Jonathan Swift
Avventurosa quasi come quella del suo personaggio principale, la biografia di Jonathan Swift riserva molte sorprese. Irlandese presto trapiantato in Inghilterra, vicino ai tories per i quali diresse anche la pubblicazione The Examiner, una moglie e un’amante conosciute, l’autore divenne pastore della Chiesa anglicana più per necessità economica che per vocazione. Essendo di personalità un tantino eterodossa per le sue convinzioni politiche e religiose, fu presto messo da parte. In particolare, l’opera che a suo dire gli valse l’impossibilità di raggiungere le posizioni più alte della carriera ecclesiale fu Il racconto di una botte.
Il racconto di una botte
“Come l’arguzia è il più nobile ed il più utile dono dell’umana natura, così la comicità è il più gradevole”.
Opera complessa in prosa, anch’essa di carattere satirico, si divide in digressioni e favole tra cui la più famosa è quella dei tre fratelli Peter, Martin e Jack, incarnazioni rispettivamente del cattolicesimo, del luteranesimo e del calvinismo. La presa in giro di queste tre religioni è feroce e costituisce una citazione di una novella boccaccesca del Decamerone. Le altre parti da cui è costituita sono parodie di illustri testi di teologia, esegesi biblica e addirittura medicina, contemporanei alla data di pubblicazione del 1709. Anche questa uscì in forma anonima, sebbene il cugino di Swift, Thomas, all’epoca dichiarò di esserne l’autore.
“Abbiamo religioni a sufficienza per farci odiare, ma non a sufficienza per farci amare l’un l’altro”.
Una modesta proposta
Infine, ma non per questo meno importante, il pamphlet Una modesta proposta, del 1729. Qui Jonathan Swift offre provocatoriamente al pubblico un “metodo onesto, facile e poco costoso” di risolvere i problemi di sovrappopolazione dei cattolici irlandesi. Basterà ingrassare opportunamente i bambini malnutriti e, all’età stabilita di un anno, darli letteralmente in pasto ai ricchi proprietari terrieri anglo-irlandesi.
L’autore espone, quindi, con dovizia di particolari, come mettere su un mercato adatto a questo tipo di carne. Porta a sostegno della sua tesi addirittura statistiche sul risparmio che tale metodo apporterebbe alle famiglie povere, sul miglioramento dell’alimentazione dei più ricchi dato il pregio di suddetta carne e sul sostanziale beneficio che ne avrebbe l’intera nazione. Non risparmia neppure dettagli sul numero di capi, pesi e prezzi; elargisce perfino ricette per cucinare e gustare al meglio la tenerezza di questa carne.
Il libro, chiaramente giocato sull’assurdo, fu purtroppo frainteso dai contemporanei di Swift – che rischiò di perdere molti dei suoi benefici – e tacciato di eccessivo cattivo gusto; l’equivoco fu dovuto fondamentalmente al contrasto voluto tra l’atroce contenuto cannibalistico e lo stile pacato e sincero dell’esposizione… un po’ come le canzoni del nostrano Fabrizio De André, per intenderci.
Le Lettere del drappiere di Jonathan Swift
Jonathan Swift, comunque, era ormai abituato alle critiche suscitate spesso dalle sue posizioni scomode, come quando nelle Lettere del drappiere (1724) aveva affrontato la questione irlandese proponendo, di fatto, l’indipendenza di una parte d’Irlanda dal Regno Unito, e di tali critiche non si curava, anzi, in un certo qual modo se ne sentiva lusingato, divertito. Ce ne fossero, oggi, di intellettuali così.
“Le critiche sono la tassa che un uomo paga al pubblico per essere famoso”.
Foto | Di Francis Bindon (died 1770) [Public domain], attraverso Wikimedia Commons