Roberto Gervaso (1937-2020)

Roberto Gervaso, le altre due mani di Montanelli

Dopo il “terzo morso” era riuscito a ucciderlo, quel maledetto cane nero (nome che Churchill attribuiva alla depressione, nda), ma poi un’altra malattia, forse meno subdola e strisciante, ma assai letale, se l’è portato via a 82 anni. Se n’è andato così Roberto Gervaso, giornalista portato in auge da Montanelli (con cui, peraltro, condivideva la lotta contro il cane nero), poi conduttore televisivo, biografo e scrittore, lasciando come ultima opera stampata proprio il suo testamento fisico e spirituale, intitolato Ho ucciso il cane nero. Come ho sconfitto la depressione e riconquistato la vita.

Il cane nero

Un libro-fiume scritto di getto, che entra nell’intimo del Gervaso uomo, non solo del giornalista, per raccontare i tre lunghi periodi di depressione che hanno segnato profondamente la sua vita, rispettivamente a 23, 43 e 71 anni. Dieci anni in preda a una disperazione da cui, però, si può uscire – è questo il significato del libro che l’autore ha voluto comunicare al mondo, in fondo un messaggio di speranza – affidandosi a uno psichiatra e prendendo i farmaci.

Nelle pagine di questa autobiografia un po’ particolare, Roberto Gervaso ripercorre le cause che l’hanno fatto scivolare nel tunnel per ben tre volte (dal rapporto con la madre a quello con la moglie, indietro fino al flirt con una bella parigina conosciuta in treno, Babette) e ironizza sulla sua proverbiale ipocondria: “La salute è uno stato provvisorio che non promette nulla di buono”, scriveva, descrivendo il suo rapporto con il farmacista analogo a quello con il fruttivendolo, “uno che mi propone primizie”.

Forse per questo, o per la “ripugnanza filosofica” che diceva la carne gli incutesse, fu vegetariano per 40 anni, finché non contrasse un’altra malattia ancora, che lo convinse che il vegetarianismo non era poi la panacea di tutti i mali come un dottore una volta gli aveva ventilato.

Chi è stato Roberto Gervaso

Eppure, verrebbe da pensare, Gervaso è stato un uomo che sentimentalmente e professionalmente ha avuto una vita ricca di avventure e soddisfazioni, di grandi incontri e di storie di raccontare. Iniziò prestissimo a farlo, a soli 23 anni al Corriere della Sera, presentato da Montanelli, suo mentore, con il quale pubblicherà, tra gli anni Sessanta e Settanta, i primi sei volumi di La storia d’Italia. Presto arrivò anche la televisione: dal 1996 al 2005 ininterrottamente condusse nella prima mattina di Rete 4 la striscia quotidiana Peste e corna e… gocce di storia, da cui trasse anche un libro, una raccolta di due anni di “politica-avanspettacolo”.

Proprio la politica e il costume furono il suo pane quotidiano per tutta la sua carriera professionale, che nei primi anni Ottanta rischiò di essere infangata quando venne trovato il nome Gervaso Roberto nella lista degli iscritti alla P2. Liquiderà così quell’esperienza: “Mi piaceva la massoneria e mi sono iscritto perché volevo scriverci un libro, come poi ho fatto (I fratelli maledetti, 1996, nda). La P2 era un’entità affaristica contrapposta a quella di Cuccia e Agnelli, che aveva vinto”.

I celebri ritratti

Innumerevoli sono i suoi “ritratti”, cioè le raccolte di interviste effettuate a personaggi illustri in 50 anni di storia, che si affiancano alle opere di pura saggistica storica, ma Gervaso fu anche e soprattutto un eccellente biografo: del conte di Cagliostro innanzitutto – la sua vita tra esoterismo e alchimia, pubblicata nel 1972, gli fece conquistare il Premio Bancarella – ma anche di Casanova, dei Borgia, dell’imperatore Nerone, di Claretta Petacci e di un’altra celebre amante, Rosa Vercellana.

A suo agio nell’andare su e giù sul treno della storia, o se preferite indietro e ancora più indietro con la macchina del tempo, Roberto Gervaso se la cavava egregiamente anche con la scrittura creativa, anche se non gli dedicò particolarmente tempo in vita. Il suo unico romanzo, infatti, uscito nel 1987, è Scandalo a corte. La collana della regina, ambientato nella Francia prerivoluzionaria e che trae ispirazione dalla vera truffa perpetrata dai coniugi conti de la Motte ai danni del cardinale di Rohan e che contribuì a rendere impopolare agli occhi del popolo la figura di Maria Antonietta, giudicata comunque innocente al processo per l’acquisto della famigerata collana di diamanti, opera dei gioiellieri parigini Bohmer e Bassenge.

Tra saggi e aforismi

Molti, invece, i saggi, sugli argomenti più disparati: dalle spose di Roma al galateo erotico, dal giallo storico sulla morte del marchese di Vignola (1575) fino al celeberrimo Qualcosa non va, del 2004, con cui vinse il Premio Cimitile l’anno successivo. Si tratta di un’analisi lucida e disillusa della società del nostro tempo, ormai priva di valori e di punti di riferimento, dove “un calciatore vale più di un Premio Nobel” e dove “Il Grande Fratello fa più audience e riscuote più successo di un concerto alla Scala”.

Tre, infine, le raccolte di aforismi che hanno visto la luce: Il grillo parlante nel 1983; La volpe e l’uva nel 1989 e Aforismi nel 1994. Ma dal momento che – come egli stesso ha rivelato – nei lunghi anni della depressione non gli era riuscito di scrivere neppure una riga, immaginiamo che molte siano le cose non dette e le storie rimaste non raccontate, come gli incontri con altri illustrissimi depressi: Borges e Simenon, per citarne almeno due.

Foto | screenshot da Youtube

Roberta Barbi

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