Federico García Lorca (1898-1936)

Federico García Lorca, il poeta vittima della dittatura franchista

Ci sono tempi e ci sono luoghi in cui viene meno il rispetto – a mio avviso elementare – della vita umana. Accade ovunque, nel mondo. Mesi o anni di follia, diffusa dalla suggestione del volere di uno solo, che portano via con sé case, cose, ma soprattutto persone, esistenze che erano o sarebbero potute essere ma non sono state.

È accaduto anche in Spagna oltre ottanta anni fa, con l’instaurarsi di una delle dittature fasciste più terribili, che come la Storia insegna, non hanno pietà dei diversi, siano disabili, omosessuali, o semplicemente liberi pensatori. Vengono messi tutti insieme, letteralmente, nel calderone delle fosse comuni, una volta uccisi. È così che Federico García Lorca, cantore raffinatissimo dell’intimità del cuore umano, se ne andò, colpito alle spalle in una metallica alba di agosto.

Io sono uno Spagnolo integrale e mi sarebbe impossibile vivere fuori dai miei limiti geografici; però odio chi è Spagnolo per essere Spagnolo e nient’altro, io sono fratello di tutti e trovo esecrando l’uomo che si sacrifica per un’idea nazionalista, astratta, per il solo fatto di amare la propria Patria con la benda sugli occhi. Il cinese buono lo sento più prossimo dello spagnolo malvagio. Canto la Spagna e la sento fino al midollo, ma prima viene che sono uomo del mondo e fratello di tutti. Per questo non credo alla frontiera politica.

In questa ultima intervista al Sol di Madrid firma la sua condanna a morte, ma anche la più sublime dichiarazione di libertà, di quelle che solo i fini pensatori possono fare, perché le loro categorie sono superiori e irraggiungibili. In questo modo, al giornalista spiegava anche il perché aveva rifiutato le offerte di asilo di Colombia e Messico, che ben avrebbero accolto quel figlio profugo di una Spagna che stava imboccando un cammino di sangue senza ritorno.

Federico García Lorca, la poesia e il teatro

Nella sua breve eppur feconda vita, García Lorca percorse due strade parallele ma irrinunciabili: quella della poesia e quella del teatro, riscrivendo le regole di entrambe.

Il maleficio della farfalla

La sua opera d’esordio sarà sul palcoscenico e s’intitolerà Il maleficio della farfalla (1919), ma non avrà successo e sarà cancellata dopo appena quattro rappresentazioni. Già qui, però, seppur a livello onirico e fantastico, s’introduce il tema dell’amore impossibile e tragico, che pervade non solo tutta la poetica, ma l’intera esistenza di Federico García Lorca. Da qui in poi, pur passando attraverso la commedia da farsa con la sua carica energetica e di evasione dal grigiore quotidiano, come pure per il progetto del teatro ambulante e la necessaria rinuncia di qualunque divismo, tutta la sua drammaturgia sarà invasa dalla rappresentazione della propria tragicità interiore, del conflitto con se stessi e la società circostante, dell’espressione delle inquietudini più profonde che possono abitare l’animo umano e del desiderio mai represso di ribellarsi a convenzioni e pregiudizi.

Poeta a New York

Non che la sua poesia sia da meno. Il primo lavoro degno di nota, dopo la breve e deludente esperienza surrealista dovuta anche alle amicizie con Buňuel e Dalí, è Poeta a New York, cioè le impressioni di viaggio che raccolse durante il suo soggiorno in America del 1929, dove fu inviato con la scusa di una borsa di studio per combattere la depressione che già mostrava i suoi segni. Nella metropoli statunitense, Lorca identifica l’essenza dell’alienazione umana del suo tempo, evidenziandone la disumanizzazione e le conseguenze di emarginazione che questa porta con sé, ad esempio nei confronti della comunità nera. Il tema era già apparso in Romancero gitano (1928), in cui a fare da sfondo erano, però, il dolore, la fatalità e il mistero del mondo andaluso. Tra metafore audaci e l’uso ossessivo di versi tradizionali, Lorca appare a suo agio con questa popolazione dai tratti mitici.

Verde ti voglio proprio verde. Verde vento. Verdi rami. La barca sul mare e il cavallo sulla montagna.

Sonetti dell’amore oscuro

Oltre all’interessante esperimento di Seis poemas gallegos, in cui il poeta scrive in galiziano, una lingua che non è la sua, da segnalare sono anche i Sonetti dell’amore oscuro, che apparvero per la prima volta su un giornale nel 1984, assai dopo che la dittatura franchista era stata archiviata. Qui leggiamo un Federico García Lorca che – potremmo dire con una terminologia di oggi – ha fatto coming out: il tema della propria omosessualità, infatti, è tutt’altro che nascosto, ma sviscerato con passione e tormento, tanto da far esprimere i critici nei termini di “monumento all’amore”.

L’aurora ci congiunse sopra il letto, le bocche contro il gelido fluire di uno sbocco di sangue senza fine….

La morte

E poi, a un certo punto della storia, arrivò Franco. Il ritorno di García Lorca in Spagna in piena guerra civile – era il luglio del 1936 – non passò inosservato. La sua uccisione causò la sollevazione del mondo letterario globale, a partire dal poeta e amico cileno Pablo Neruda (anche lui, si dice, ucciso dalla furia livellatrice del pensiero unico di un altro dittatore, Augusto Pinochet).

Molto si fantasticherà sulla morte a causa di quel cadavere tanto cercato, ma mai ritrovato, tanto che alcuni vagheggiano addirittura di una sua rocambolesca fuga chissà dove. Negli anni del franchismo le opere di Federico García Lorca furono messe al bando, almeno fino al 1953, quando apparve una Obras completas pesantemente censurata, però, dal regime. Ma mentre i governi passano, le dittature cadono, i tiranni muoiono, i poeti no, perché si può uccidere l’uomo, ma le sue idee, come le sue parole, risuoneranno per sempre.

Foto | Wikimedia Commons + Mondschwinge da Pixabay

Roberta Barbi

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