Milano e Lago di Como. Un recente settembre e tempo addietro.
Le verità spezzate
Il 74enne Manlio Parrini è un regista mitico, un Maestro nella storia del cinema planetario. Si è ritirato poco dopo l’enorme successo mondiale di critica e di pubblico del suo capolavoro Le verità spezzate.
Nel febbraio 1998 si trovava a Montréal a ritirare l’ennesimo premio, stufo di venir considerato una sorta di culto ambulante. Anita lo aveva appena lasciato per un attore più giovane di lei, allora aveva pubblicamente dichiarato di smettere: non avrebbe mai più fatto cinema, ormai un posto senza verità.
Un quarto di secolo dopo, quel dì, quasi alle sei di un tramonto settembrino milanese, davanti alla statua del Manzoni di piazza San Fedele, si accende una sigaretta e pensa a quando lì c’era la questura. Vede il commissario De Vincenzi che entra ed esce all’aperto, in quel “lago bituminoso di nebbia”, come bene scriveva De Angelis nel 1935, e immagina una storia dentro l’antica città senza nessuna frenesia, monumentale e scura, oppressa. Ci si potrebbe fare un gran film.
Il primo amore non si scorda mai
Pensa e rimugina. Raccoglie materiali nella sua funzionale elegante centrale residenza studio, un ampio padiglione vetrato con piccola sala di proiezione, autonoma dépendance dell’enorme villa di un suo mecenate, presa per un modesto affitto (che non aveva mai dovuto pagare) e poi acquistata a poco quando il cavalier Guido Bastoni stava per morire (praticamente solo le spese del notaio).
Mentre cerca un produttore, chiama l’amica 38enne sceneggiatrice Sara De Viesti, alta con i capelli rossi, e la coinvolge nell’ipotesi di impresa artistica, un cold case del luglio 1944, la morte di De Angelis a Bellagio, da poco uscito dal carcere dove era detenuto per teorico antifascismo, ancora per mano fascista sembra (nel periodo di Salò).
Vengono distratti, nella villa è stato scoperto l’omicidio della ricca vedova Bastoni, si scatena un nuovo caso eclatante (il nipote ha incarichi ministeriali, i giornalisti impazzano), entrambi da risolvere con nuove idee.
Un bel romanzo “fuoriserie” di Alessandro Robecchi
A inizio anno 2024 il giornalista (spesso argutamente radicale e satirico), autore televisivo (con Crozza dal 2007) e affermato scrittore Alessandro Robecchi (Milano, 1960) era uscito con il decimo godibile romanzo dell’ottima serie metropolitana d’alta qualità, la divertente raffinata epopea monterossiana (il primo volume nel 2014, poi anche vari racconti), giunta in televisione (protagonista il bravo attore Fabrizio Bentivoglio).
Nell’autunno 2024 esce il primo romanzo “fuoriserie” (a parte saggi e articoli), molto ben fatto.
Il titolo (anche del capolavoro cinematografico del protagonista) riguarda ogni vita e ogni storia, piccola e grande, non a caso in esergo c’è Simenon (“la verità non sembra mai vera”). Occorre cercare di raccontare un sapiens rispettando ciascuno di noi, dare sempre una curvatura universale, di metafora, di senso generale.
Augusto De Angelis
Nel caso della personalità di Augusto De Angelis (Roma 1888 – Como, 1944), un milanese d’adozione (forse), le censure imposte e autoimposte, le differenti versioni e interpretazioni emerse sulle ragioni del pestaggio (più o meno convincenti o ufficiali), le resistenze non eroiche (più o meno libere) a torti imposizioni umiliazioni.
Pure nel caso dei possibili autori o autrici dello strangolamento si tende ad ammettere quasi solo ciò che noi decidiamo siano verità, con il nostro timbro, la nostra approvazione.
Particolare attenzione l’autore dedica quindi ai due personaggi, comunque indomiti, che più e meglio si sforzano di scoprire i meccanismi vitali, diventando a loro modo amici del regista: la colta sostituta procuratrice della Repubblica Chiara Sensini e l’arruffato giornalista del “Corriere della Sera” Claudio Tarsi.
Stile di Le verità spezzate di Robecchi
La narrazione è in terza persona al presente, fissa sul Maestro Parrini, sul percorso documentaristico e visivo di costruzione del nuovo film e sulle difficoltà di essere liberi, con qualche flash sul decorso e sui pensieri nella degenza ospedaliera di De Angelis e (verso la fine) qualche concreta scena girata con il giovane commissario Carlo De Vincenzi (frequenti le citazioni da alcuni relativi romanzi), geniale e riflessivo, riservato e taciturno, eroe senza saperlo, uno che leggeva i poeti francesi, che misurava le sue indagini su delitti e omicidi con il metro della psicologia umana, che conosceva Freud e si addentrava nei labirinti della mente dei personaggi, mentre là dentro invece erano solo botte e voci urlate.
Robecchi coglie anche l’occasione per rendere omaggio a Oreste Del Buono e per fare un po’ di storia della letteratura gialla non solo italiana, che dominava la scena durante la prima metà del Novecento. Affetti e libertà s’affermano, qualche innamorato compare, non storie d’amore e avventure sessuali.
Bianchi, rossi, champagne senza etichette, liquori vari quando ci vuole.
Il regista si culla e si cura con il quartetto di Miles Davis.
Il libro
Alessandro Robecchi
Le verità spezzate
Rizzoli, 2024
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