Acido solforico

Acido solforico, tra i migliori romanzi di Amélie Nothomb

Acido solforico è a mio avviso uno dei romanzi più riusciti di Amélie Nothomb. Volendo potrebbe essere inquadrato nell’ambito dei romanzi distopici, e certamente non sbaglieremmo nella classificazione.

Una società distopica ma… non troppo

La scrittrice immagina una realtà all’apparenza molto simile alla nostra, dominata dallo strapotere dei mass media, specie quelli televisivi. È contro questi ultimi che si scaglia la penna acuminata dell’autrice, e in particolare su quell’autentica perversione di massa che risponde al nome di reality show.

La Nothomb descrive una società dispotica, dominata dagli orrendi meccanismi di un reality che non a caso si chiama Concentramento.

Un reality efferato

Ma com’è articolato il programma Concentramento? Nella sua efferatezza, in maniera abbastanza semplice: una troupe televisiva effettua una retata nella capitale francese al fine di arruolare concorrenti, individuati a caso tra i cittadini di Parigi. I malcapitati sono poi caricati su vagoni piombati e quindi reclusi in un campo di concentramento. Qui altri concorrenti rivestono la temuta, ma anche ambita, mansione di kapò.

Lo spettro del lager e la tv del dolore

La scrittrice con un invidiabile colpo di genio riesce a rievocare da un lato una delle piaghe peggiori della recente storia mondiale – la persecuzione nazista ai danni degli ebrei e delle minoranze etniche – e dall’altro mostra, estremizzandola, tutta la valenza negativa insita nelle paradossali e squallide logiche dei reality show.

La violenza, l’umiliazione e la riduzione in schiavitù dei reclusi sono mostrate ai telespettatori secondo gli, ahinoi, ben collaudati canoni della cosiddetta tv del dolore, che spettacolarizza l’angoscia per squallidi fini commerciali.

Il messaggio del romanzo Acido solforico

Il reality descritto nel romanzo assume caratteristiche criminali, certo, ma il messaggio che intende lanciare la scrittrice è chiarissimo: lo sfruttamento della sofferenza finalizzata all’ascolto televisivo è un fenomeno ripugnante, da respingere in tutti i modi.

La Nothomb scuote la coscienza del lettore colpendolo allo stomaco, estremizzando il modus operandi di questo genere televisivo, in effetti uno dei peggiori mai concepiti dal mondo della televisione.

L’ombra lunga di un passato da non dimenticare

Se in prima istanza l’oggetto della furia narrativa dell’autrice è incentrato sul voyeurismo televisivo alla base di questo genere di trasmissioni, non meno importante è l’altro obiettivo.

Mi riferisco alla denuncia della colpevole indifferenza, o peggio alla bieca tifoseria, con la quale troppo spesso si tende a considerare le pratiche più o meno persecutorie messe tuttora in atto nei confronti di categorie etniche o sociali svantaggiate. Accade anche oggi, nel 2018, proprio in questa nostra civilissima Europa.

Acido solforico: un libro sferzante, quasi un pamphlet

Acido solforico è un’opera che alla sua uscita nel 2005 non mancò di suscitare aspre polemiche, com’era prevedibile, dato l’argomento e soprattutto l’approccio utilizzato dalla scrittrice nel descrivere la mostruosa macchina televisiva di Concentramento: a tratti il libro assume i toni più del pamphlet che del romanzo, e i dialoghi dei protagonisti fanno raggelare o indignare, a seconda dei casi. Protagonisti che sono tratteggiati a tutto tondo, con grande maestria descrittiva.

Una struttura serrata

Acido solforico colpisce per compattezza e forza, a differenza di altri, meno riusciti lavori dell’autrice. Credo sia merito del maggior coinvolgimento emotivo della scrittrice, che in questa occasione fa sfoggio di minore ironia che altrove.

Calca invece più decisamente la mano sugli aspetti più angoscianti e avvilenti, al limite dell’horror, di una società che non è una distorsione paradossale di quella reale, la nostra.

Al contrario, sembra voler suggerire la Nothomb, l’assetto allucinante profetizzato in Acido solforico potrebbe essere alle porte.

Il libro

Amélie Nothomb
Acido solforico
traduzione di Monica Capuani
Voland, 2010

Luigi Milani

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