Mastro Titta e l'accusa del sangue

Mastro Titta e l’accusa del sangue: i gialli di Nicola Verde dedicati al boia papalino

Roma. 1869 e 1859. A gennaio 1869 il giornalista scrittore Ernesto Mezzabotta torna a trovare il 90enne Giambattista Bugatti, detto Mastro Titta. Bevono insieme un rosso dei Castelli. La precedente visita gli aveva garantito l’uscita di un bel fascicolo di memorie e il libro aveva avuto notevole successo, Perini editore.

Mastro Titta e l’accusa del sangue

Mastro Titta e l'accusa del sangue
Nicola Verde, Mastro Titta e l’accusa del sangue

Bugatti era stato il boia al servizio del papa per quasi settant’anni: ha decapitato oltre cinquecento condannati. Ormai da cinque lo hanno messo a riposo, in pensione con un vitalizio mensile di 30 scudi. Vive sopra la bottega dove faceva pure l’artigiano, l’ombrellaio, ora sprangata.

Sa di avere i giorni contati, i soldi che riceverà potrebbero servire per un buon funerale. Accetta di raccontare altro, continua a percorrere a ritroso alcuni casi particolari nei quali si è imbattuto.

Il primo “caso” si era svolto fra il 1861 e il 1864.

La seconda “faccenda” ripercorre vari mesi dopo la primavera 1859 con un prologo a Bologna nel giugno 1858, la famosa vicenda Mortara. Edgardo, un bambino ebreo malato, battezzato all’insaputa dei genitori per evitare il “limbo”, fu prelevato dai gendarmi e sottratto alla famiglia perché fosse allevato secondo i dettami della religione cristiana, sulla base del “favor fidei” prevalente su ogni altro diritto (compresa la potestà genitoriale), assegnando priorità alla salvezza dell’anima.

Mesi dopo un caso analogo potrebbe essere avvenuto a Roma. Scompare Charles Reynard, un neonato ebreo di poche settimane, non più di un paio di mesi, portato via da Amelia Corvaro, giovane fantesca di un ufficiale francese, il padre del frugoletto, che presta servizio nella caserma Serritori, dove alloggia insieme alla moglie. La donna ha pochi baiocchi, cerca in bottega Amilcare Laudadio, l’amico ispettore di Mastro Titta, si dirige verso il porto, vorrebbe aiuto e denaro per fuggire, ma incappa in varie drammatiche disavventure. Molti gli inganni, i crimini, le sopraffazioni e i morti.

Gli accurati gialli storici di Nicola Verde

Il bravo scrittore romano Nicola Verde (Succivo, Caserta, 1951) prosegue la serie di accurati gialli storici dedicata al vero fervente papalino Giovanni Battista Bugatti (Senigallia, 6 marzo 1779 – Roma, 18 giugno 1869).

Il caso Mortara è storia (e forse presto un film); l’Affaire Reynard non c’è mai stato, ma è la riuscita occasione per raccontare innanzitutto lo scontro religioso legato ai battesimi forzati e la calunniosa “accusa del sangue” agli ebrei di uccidere e mangiare i bambini cristiani secondo il presunto uso ashkenazita (da cui il titolo); poi il discutibile papato di Pio IX e i torbidi intrighi di “corte”, la costituenda alleanza franco-piemontese contro l’Austria alla vigilia dell’Unità d’Italia, la Roma ottocentesca puzzolente e seducente.

Lo stile del giallo Mastro Titta e l’accusa del sangue

La narrazione è per intero in terza varia al passato, un po’ su tutti i personaggi, pur se saldo è il legame fra i tre amici, investigatori per ragioni private: Mastro Titta, il giovane Amilcare (che aveva avuto una storia d’amore con Amelia) e il poeta e tornitore 87enne Giuseppe Marocco d’Imola, innocuo simpatizzante dell’Italia unita.

La bibliografia finale, pur dichiaratamente essenziale, mostra l’attento lavoro effettuato per inserire soggetto e schemi della fiction all’interno di un contesto storico realistico.

Alla locanda del giudìo, fuori dalla recinzione del Ghetto (fra segregazioni e autorizzazioni) si mangiano ovviamente ottimi carciofi fritti e baccalà, come pure l’amatriciana e i maccheroni (alla milanese). Il ragazzino che vende giornali, più o meno leciti, canticchia un’aria da Un ballo in maschera di Verdi.

Il libro

Nicola Verde
Mastro Titta e l’accusa del sangue
Frilli, 2021

Valerio Calzolaio

Valerio Calzolaio

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