Vi sono immagini che, innegabilmente, ci catturano più di altre. Fotografie che, in un solo istante, diventano per noi una vera e propria epifania. Una rivelazione in cui l’essenza sale improvvisamente in superficie, mostrando il cuore segreto che batte sotto i tanti paludamenti. Dietro le difese più disparate. Oltre i contrafforti che ognuno di noi si costruisce pazientemente attorno.
Il mio incontro visivo con Giuliana Brescia avvenuto grazie alla lettura di Altri canovacci di racconti che non scriverò – nasce proprio sotto questo segno profondo e misterioso. Muto eppure dolorosamente sonoro.
La poesia di Giuliana Brescia
Giovanissima, racchiusa in un abito a corolla (siamo in tutta probabilità sul finire degli anni ’50), la poetessa sembra quasi ritrarsi spaventata dall’obiettivo. Farsi piccola piccola, lasciare che l’amica al suo fianco domini sola la scena. Tuttavia il gioco non le riesce, qualcosa va storto e i nostri occhi non possono che essere tutti per lei. No. Non vi è modo di stornarli. Di cercare sollievo o conforto altrove. Quel suo cercare repentinamente l’ombra, il rifugio, la fuga la pongono irrimediabilmente sotto i riflettori.
La gran luce del sud (Giuliana Brescia era nata in Lucania nel febbraio del 1945) sfalda in un momento e quasi famelicamente tutti gli strati in cui sembra essersi avviluppata alla ricerca di un’impossibile e confusa protezione. Ecco che, in quel preciso istante, con un semplice clic, qualcosa di importante avviene, prorompe all’esterno, si dichiara irrefutabilmente all’osservatore. Un piccolo scatto e siamo di fronte a una manifestazione dolente e innegabile dell’anima. Dei suoi accidentati e terribili sentieri.
La vita di Giuliana Brescia fu breve e tragica. Quel disagio fondo e incolmabile, che l’11 luglio del 1973 l’avrebbe spinta a lanciarsi oltre la finestra di casa, l’aveva portata a confrontarsi molto presto con la poesia e i suoi molteplici abissi. A vincere per ben due volte il Premio della Presidenza del Consiglio. A dare alle stampe raccolte come Tela di ragno e Brano di diario. Opere che, insieme alla postuma Poesie del dubbio e della fede, ne rivelarono il talento. Lo sguardo vivo, ma malinconicamente rabbrividito. La voce spezzata da un anelito senza risposta, destinato a cadere, come un’eco già spenta, nel vuoto raggelato dell’esistenza.
Foto tratte da Altri canovacci di racconti che non scriverò (Laurenziana, Napoli 1985)
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