È un libro di una grande scrittrice, l’unica donna italiana alla quale sia mai stato conferito (anno 1926) il premio Nobel per la letteratura. Lei è Grazia Deledda; il romanzo Canne al vento.
Una scrittura senza tempo, la sua, che emerge in particolar modo in quest’opera, uno dei libri fondamentali della nostra letteratura.
Canne al vento
Avvalendosi di canoni veristici, Grazia Deledda racconta una storia di donne rimaste sole; di una famiglia oramai composta da sorelle lasciate sole – in seguito a un evento drammatico – da un padre rude e dignitoso.
In una Sardegna arcaica, contadina, in un contesto sociale in cui le donne restano tra le mura domestiche attendendo una vecchiaia che non tarda mai ad arrivare, l’autrice evidenzia un cambiamento oramai alle porte. Spinge la più giovane delle sorelle a raggiungere “il continente” per vivere una condizione più “moderna”, nella speranza di affrancarsi dalla miseria, da una vita di rinunce e da quella visione chiusa e superstiziosa della sua terra.
Storia di un’umanità varia
Tutto il romanzo si può dire abbia inizio dall’arrivo in Sardegna di suo figlio e attorno a lui si muoveranno personaggi principali e secondari, tra i quali spicca il servo Efix (da Efisio), figura dominante. Con grande maestria, l’autrice ci mostra un’umanità varia ma sempre nuda, vera, autentica. Uomini e donne ora saggi di un’antica saggezza isolana, ora fragili come canne al vento. Li vediamo ondeggiare sotto i colpi del maestrale senza mai spezzarsi; nuotare in quel mare d’orgoglio e di antiche tradizioni che imprigionano; ma li sentiamo anche pensare, da liberi, dando voce in solitudine a fantasie e riflessioni che una comunità così chiusa definirebbe follie.
Debolezze in uomini apparentemente forti; grande forza nel “sesso debole”; amori scomodi, servi e padroni, con l’eterno paradosso che incombe: l’odio che genera amore, l’amore che genera odio, e la redenzione o il rancore che si avvicendano quasi come necessità.
Sì, siamo esattamente come le canne al vento”, dice Efix nel primo capitolo. “Noi siamo le canne e la sorte è il vento.
E ancora:
Sperare, sì, ma non fidarsi anche; star vigili come le canne sopra il ciglione che ad ogni soffio di vento si battono l’una all’altra le foglie come per avvertirsi del pericolo.
Un libro meraviglioso, il suo romanzo più famoso, che ancor oggi – a dispetto dei suoi cent’anni – pagina dopo pagina ci strattona come giunchi che si affacciano lungo le sponde del fiume a guardare la vita che scorre burlandosi di noi.
Foto | ❤ Monika 💚 💚 Schröder ❤ via Pixabay
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